mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Attualità

“Sogno un Libano senza conflitti interni. L’Italia ha bisogno di moderazione”

Intervista all'ex Presidente della Repubblica Libanese, Amin Gemayel

Presidente Amine Gemayel, Lei è stato Presidente della Repubblica Libanese dal 1982 al 1988, durante la guerra civile che ha insanguinato il suo Paese ed è succeduto alla guida dello Stato a suo fratello Bashir, anch’egli Presidente della Repubblica Libanese e purtroppo brutalmente assassinato. Dopo la morte di suo fratello, suo figlio Pierre, deputato e ministro, anche lui è stato assassinato a soli trentaquattro anni, il 21 novembre 2006. La sua famiglia ha pagato un enorme tributo per il Libano e quando parliamo con lei e con i suoi familiari, chiunque nel suo Paese, come nel resto del mondo, mostra assoluto rispetto. Signor Presidente, qual è la situazione oggi nel suo amato e meraviglioso Paese?
Sono stato Presidente della Repubblica Libanese dal 1982 al 1988, completando il mio mandato presidenziale, in un momento difficile, per la storia del Paese. Il Libano era un mosaico complesso da gestire e governare, poiché questo mosaico comprendeva una moltitudine di comunità e di religioni differenti. Vi era una guerra civile, una contrapposizione tra le diverse etnie ed in più problematiche le quali trovavano origine in strategie degli altri Stati al di fuori del mio. Anche in famiglia, abbiamo dovuto affrontare tanto dolori, come una serie di assassinii e tra le morti violente dei miei congiunti, ricordo quelle di mio figlio Pierre e prima di lui, di mio fratello Baschir e di mia nipote Maya. Ve ne sono altre, di donne e di uomini -sempre in famiglia- che lasciano il segno, ancora oggi. Già, è stato difficile, veramente difficile! Ho cercato di fare del mio meglio per gestire e governare, pure queste contraddizioni e queste complessità, avendo tre obbiettivi: 1) nel 1982, all’atto del mio insediamento e a seguito dell’interruzione del mandato presidenziale di mio fratello Baschir (che infatti fu assassinato da Presidente della Repubblica), in Libano avevamo una triplice occupazione, ovvero quella istraeliana, siriana e palestinese. La prima cosa che ho fatto, fu quella di liberare il territorio del mio Paese, cercando di perseguire il risultato della pacificazione, della concordia e della condivisione, di tutto il mio popolo. Al contempo ero intento a coinvolgere in questo processo interno, sia la Lega Araba (perché il Libano, aderisce come Paese, ad essa), sia l’Europa, sia gli Stati Uniti, gli unici che potessero parlare ‘una lingua compresa’ da Israele; 2) liberare, da subito, la Capitale del Libano, cioè Beirut, da qualsiasi occupazione impropria e straniera, perché all’inizio del mio mandato, era l’unica Capitale del mondo arabo ad essere occupata dall’esercito israeliano. Se si pensa alle varie guere arabo istrelaeliane, sia con la Siria, sia con la Giordania, sia con l’Egitto, nessuna delle loro città capitali, ha patito un simile oltraggio. Né Damasco, né Amman, neppure Il Cairo, solo Beirut ha avuto questo triste vilipendio. Tra l’altro, dovevo difendere le mie prerogative, poiché, seppure in un contesto di simile turbolenza, rappresentavo le istituzioni democratiche del mio popolo e della sua architettura costituzionale e dovevo anche fare fronte a delle pretese territoriali che la stessa Siria, avanzava sul Libano, in virtù di una discutibile interpretazione storica. In pratica, ho dovuto assicurare, durante un simile periodo così complesso, i fondamenti del buongoverno, fondato su principi sani. La corruzione dilagava, proprio a causa della guerra ma non solo e persino le scuole e le Università erano chiuse. Bisognava ricostruire il tessuto sociale dell’intero Paese, il quale viveva una crisi economica, finanziaria, sociale, culturale ed identitaria. Già è difficile ben governare in condizioni normali, figuriamoci in quelle; 3) far si che lo slogan di San Giovanni Paolo II diventasse realtà. Fu proprio questo Santo e formidabile Pontefice a dire “Il Libano non è un Paese. È un messaggio”. Ecco, soprattutto questo è quello che dobbiamo fare e che continuerò a tentare di realizzare, anche oggi, perché altrimenti  rischieremmo di divenire un Paese banale, di circa diecimila chilometri quadrati, senza ruolo e prospettiva. Noi dobbiamo potenziare il compromesso, il dialogo, ed evitare conflitti interni. Questa è una funzione essenziale, perché diamo (e vogliamo continuare a dare) un esempio positivo a tutti gli stati della regione e della Lega Araba. Solo così potremo esercitare un ruolo e assicurare giusta prosperità al nostro popolo, il quale è formato da tante comunità religiose, però sempre un unico popolo dobbiamo continuare ad essere. 

Signor Presidente, lei come Capo dello Stato libanese ha avuto proficui colloqui con molti dei nostri statisti democristiani – di cui era amico personale – ovvero Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Emilio Colombo, Amintore Fanfani, Arnaldo Forlani e Ciriaco De Mita: parliamo, insomma, di uomini che sono tutti stati, ministri degli Esteri, primi ministri e nel caso di Cossiga anche il suo omologo. Cosa ricorda e può raccontarci del suo rapporto con loro?
Lei ha detto bene! Ho avuto contatti proficui, intensi, veri, con tutti loro e mi onoro dell’amicizia nata tra di noi. Li ricordo uno ad uno, cioè Giulio Andreotti o Francesco Cossiga che è stato anche mio omologo, come Presidente della Repubblica Italiana nello stesso periodo del mio mandato presidenziale in Libano. E ricordo pure Amintore Fanfani, per due volte Primo Ministro nello stesso periodo sopracitato. Così come rammento Ciriaco De Mita, Emilio Colombo e Arnaldo Forlani. Vincenzo Speziali mi parla sempre di loro e di Forlani in maniera particolare, essendone il figlio politico. Per me la Democrazia Cristiana ha rappresentato una scuola di alto livello, poiché aveva insita una visione complessiva, dal punto di vista del buongoverno, della società, della pace, della cultura e del rispetto degli uomini e dei loro diritti. Il tutto partendo da una formazione di fede (che è anche la mia come Cristiano Maronita, quindi in comunione con il Papa di Roma), ma inserita nella vita secolare, perciò nel rispetto della laicità dello Stato e dei suoi cittadini. Si, è stata veramente, una grande, grandissima scuola.

Presidente Gemayel, lei è anche il leader dell’Internazionale Democristiana e colui il quale gli attuali DC -che cercano di ricongiungersi in un processo costituente ed unitario- considerano come loro riferimento estero. Ci sarà bisogno di lei per concretizzare fattivamente questo percorso che Lorenzo Cesa, Gianfranco Rotondi, Roberto Formigoni, Giampiero Catone, Salvatore Cuffaro, Vito Bonsignore, Gianpiero Samorì, Francesco Pionati e il più giovane di tutti, cioè Vincenzo Speziali, assieme ad altri cari amici, stanno mettendo in campo, cominciando con il presentare liste per le elezioni nelle due più importanti regioni italiane, cioè il Lazio con Roma e la Lombardia con Milano. Da qui, si tenterà di procedere ad una fase di Congresso unitario dove il simbolo -come quello delle liste- sarà lo storico Scudocrociato della Democrazia Cristiana. Ci dica -come IDC- agevolerà tale tentativo?
Io sono tra i continuatori del Partito fondato da mio padre Pierre Gemayel, in Libano, cioè il Kataeb, di cui sono stato anche Presidente. Oggi vivo questo mio identico impegno nell’Internazionale Democristiana, di cui siamo diventati membri, all’epoca della presidenza di un caro amico italiano, Pier Ferdinando Casini. Sono amico personale e sincero di tanti altri, tra cui Lorenzo Cesa soprattutto e ovviamente di Vincenzo (Speziali, ndr) che è sempre con me, qui in Libano. Sono amico pure di Samorì, di Cuffaro, di Formigoni (molto noto qui in Libano e in gran parte del mondo, ma soprattutto in Libano, dove ha guidato grandi missioni diplomatiche e umanitarie, sin dai tempi del suo mandato di Europarlamentare e di Vicepresidente del Parlamento Europeo, anche durante la mia Presidenza). Ricordo Catone, durante le missioni con il PPE a Bruxelles, quando lui era Deputato europeo, così come Bonsignore. Si, con l’Italia ho una relazione speciale, anche perché ho visitato spesso in veste ufficiale, i vostri Presidenti della Repubblica e con alcuni di essi sono divenuti autenticamente amici. L’Internazionale DC serve a questo, a promuovere la nostra ideologia comune, la quale è essenzialmente un’etica. l’Italia ha bisogno della moderazione e del senso di governabilità della Democrazia Cristiana, poiché è un Paese che ha dovuto affrontare negli ultimi anni, tante difficoltà, tante turbolenze. L’Italia ha bisogno di stabilità e l’Europa, ha necessità che questa stabilità sia assicurata dal vostro Paese. Noi come Internazionale Democristiana faremo di tutto per aiutare i nostri amici italiani a ritrovarsi assiene, in questo Partito che si rifonderà con la partecipazione di tutti e in un’ottica miderna. Lo dovete fare, vi staremo vicini, poiché i nostri comuni ideali sono più che mai necessari e validi in questo mondo in cui si vive oggi, come se fossimo in un unico gran villaggio. Ora avete le elezioni nelle due più importanti regioni e può essere un banco di prova essenziale. Ma poi, si dovrà andare avanti, senza nessun ripensamento, alfine di fare la manifestazione rifondativa di tutti voi, sotto lo storico simbolo e con lo storico nome, entrambi gloriosi. Spero che avvenga prima della prossima estate, ed io ci sarò e con me tutti gli amici dall’estero. Avanti, quindi, senza paura, come disse in altri momenti, San Giovanni Paolo II. Vi invitiamo a farlo, per il bene dell’Italia e per onorare una grande storia, la vostra!

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