Ingegnere Incerti, cosa ci dobbiamo aspettare dalla Intelligenza Artificiale, da macchine che chiamiamo “intelligenti”?
Mi permetta una battuta iniziale. Le vogliamo davvero? Perché allora i computer dovranno commettere gli stessi stupidi errori che commettono gli uomini. Scherzi a parte, ciò che il mondo industriale e dei servizi attualmente richiede a questa tecnologia sono le prestazioni dei riconoscitori vocali e di oggetti, dei sistemi esperti, dei robot intelligenti che rendano più produttive le aree tecniche e dei servizi. Le sue applicazioni industriali, ad esempio, possono sollevare dalla fatica fisica e da compiti non banali e fortemente ripetitivi
Questo è il presente, ma volendone dare una definizione più generale, che includa il futuro?
Due sono le possibili definizioni, in un certo senso complementari. Se ci si basa esclusivamente sull’osservazione delle prestazioni, si può affermare che obiettivo dell’IA è di far compiere al calcolatore attività che richiederebbero intelligenza se svolte dall’uomo. Ad esempio, comprendere il linguaggio parlato, interpretare il significato di scene, risolvere problemi complessi, etc. Questa definizione soffre, però, di due limiti fondamentali: 1. presuppone che sia possibile individuare le prestazioni caratteristiche dell’intelligenza umana 2. implica una nozione di IA di tipo essenzialmente enumerativo, attraverso la quale sia possibile elencare quali sono le ”componenti” dell’IA. Una seconda possibile definizione di IA si ottiene guardando alle sue competenze e al suo funzionamento interno. Può allora essere definita come la disciplina che si occupa del progetto di sistemi capaci di acquisire, rappresentare e elaborare conoscenze mediante meccanismi elementari tipici dell’intelligenza umana, quali la deduzione, il ragionamento analogico, la generalizzazione, l’induzione, il ragionamento ipotetico, etc. In altri termini, l’IA studia gli aspetti computazionali delle attività cognitive dell’uomo e ricerca i modi per riprodurle in sistemi artificiali.
A che punto è la ricerca?
Fare I. A. oggi significa costruire macchine e sistemi “intelligenti”, superando contraddizioni di fondo come l’impiego di strumenti logici precisi, per emulare o modellare qualcosa che non è sempre logico. Per esemplificare con D. Lenat, significa costruire modelli causali, strategie e piani, aspettative e sottintesi, continuità spaziale e temporale, astrazioni e approssimazioni, analogie, modalità e convinzioni, conflitti e contraddizioni, sorgenti multiple di conoscenze, apprendimento dall’esperienza. In ogni caso, i tecnici, nella continua ricerca di nuove soluzioni, si ispirano ai principi dell’evoluzionismo darwiniano, in questo caso basato sulle prestazioni dei sistemi, il loro adattamento alle esigenze e la loro funzionalità. Al momento siamo al livello di buone applicazioni di “pattern recognition” [riconoscimento del modello – Ndr], di massiccio utilizzo di algoritmi di statistica e probabilità. Abbiamo ancora strada da fare per passare dal riconoscimento alla comprensione.
Più nello specifico, gli studi sull’I.A. in cosa si differenziano dall’informatica, chiamiamola tradizionale?
Rispetto all’informatica l’I. A., pur condividendone per ora alcuni strumenti e parte dei fini, ha una strategia opposta. La prima obbliga l’uomo a modi di pensare e di comunicare caratteristici del computer e proietta i vincoli formali della macchina nelle nostre teste; l’I. A., invece, punta a realizzare sistemi nei quali sono inseriti i paradigmi comunicativi, logici, linguistici umani. La cibernetica opera con una ipotesi di lavoro completamente diversa, presupponendo un legame diretto “percepire – reagire”, con una risposta allo stimolo del tipo “causa – effetto”. In questa sequenza l’I.A. aggiunge un altro momento basato sulla considerazione che per reagire occorre decidere tra diverse alternative e per poter decidere occorre capire. La nuova ipotesi di lavoro dovrebbe diventare: ”percepire-capire-decidere-reagire”.
L’innovazione non si può e non si deve fermare, però i privati fanno fatica a investire su questa tecnologia per i costi ancora molti alti. Quali vantaggi potrebbero ricavarne?
L’I. A. può permettere all’industria di salvare milioni di dollari di investimenti in conoscenze già acquisite e di incrementare la produttività attraverso l’estensione dell’azione di una limitata forza lavoro altamente specializzata. Negli Stati Uniti il costo medio annuo di un ingegnere esperto è stato calcolato sui 120.000 dollari/anno. Risulta allora chiaro perché una nota industria abbia creato un Expert System per conservare il patrimonio costituito dai 44 anni di esperienza di un suo ingegnere della produzione. Naturalmente il beneficio va confrontato con i costi di un Sistema Esperto che in verità, non presenta oggi prezzi popolari! Il valore del sistema è pari al costo annuo di un esperto umano moltiplicato per il periodo durante il quale esso sostituisce in tutto o in parte l’esperto, eventualmente moltiplicato per i siti di applicazione. Peraltro, mentre sono tramontati come interesse nel mondo occidentale, in Cina godono ancora di un certo successo.
Poi ci potrebbero essere i fondi pubblici. Lei propone un dicastero ad hoc, perché?
In realtà non penso a un ministero dell’Intelligenza Artificiale ma della Innovazione, preposto alle tre componenti strategiche essenziali: software, microelettronica e miniaturizzazione. Un ministero tricefalo con localizzazioni al Nord, Centro e Sud, dove abbiamo le eccellenze di riferimento già dispiegate naturalmente sul territorio (le università di Milano e Torino, Roma, Cosenza e Catania). Serve una istituzione che garantisca un rapporto diretto tra progettista/produttore e “consumatore” senza le attuali intermediazioni che la burocrazia prevede in caso di soldi pubblici e che comportano perdita di denaro a ogni passaggio autorizzativo. Serve che, come in Giappone, questo soggetto possa finanziare direttamente le piccole imprese o una associazione delle piccole imprese che faccia da loro banca. La storia economica insegna che più investi e più hai ritorni, ma le aziende da sole non ce la possono fare nella competizione contro i monopoli che si sono consolidati con i loro imponenti investimenti. Deve esserci il sostegno dello Stato alla ricerca e sviluppo se non vogliamo che anche in questo i cinesi ci superino da destra.
L’I. A. non ha applicazioni solo industriali, ma anche civili. Entrerà a pieno titolo nelle nostre case e nelle nostre vite?
L’innovazione indotta dalla IA rivoluzionerà tutti i settori fino a quello domestico, per questo è vitale capirla perché tutta l’operazione sia fatta per risolvere problemi veri e sia pilotata equilibratamente dall’offerta tecnologica e dalla domanda. Si sta alacremente lavorando per applicare computer e robot in casa, in fabbrica, nelle fattorie, negli ospedali, nelle banche. In casa, ad esempio, per controllare l’ambiente domestico, l’uso ottimale dell’energia, il comfort, la sicurezza, il tempo libero, l’istruzione, i sistemi di informazione e di comunicazione. Nell’industria si organizza una fabbrica con meno addetti, ma migliore qualità del lavoro. Si studiano fattorie modello nelle quali la produttività dell’animale e la sua salute sono sotto stretto controllo del computer. Si progettano ospedali dove finalmente ci sia più tempo da dedicare alla cura umana del paziente. Per non parlare delle applicazioni nella genomica, proteomica, etc. Il progresso per essere sposato deve essere capito, si ha paura di ciò che non si capisce. Quello che bisogna reinventare è l’uomo del futuro, con le sue nuove professionalità e i suoi nuovi ambienti.
Quando vedremo i robot umanoidi dei film in azione nel nostro quotidiano?
È ancora presto. I robot sarebbero utili dove esistono reali disagi e pericoli, in ambienti ostili: nelle miniere, sulle piattaforme oceaniche, nello spazio, nelle centrali nucleari, dove la manodopera è scarsa come nell’agricoltura. Tutti quelli che oggi chiamiamo robot sono solo pallide ombre di quelli che vorremmo che fossero e che saranno. Ciò di cui abbiamo bisogno sono robot con capacità di percezione ed interazione dinamica con l’ambiente, auto-programmabili e dotati di apprendimento, che possano stabilire da soli i propri obiettivi in un contesto di macchine cooperanti. Magari anche autoriproducentesi nel senso degli automi di Von Neumann. Poche persone per ora saprebbero costruire questo tipo di macchine.