Draghi parla in Aula, a volte tuona, chiedendo ai partiti se sono davvero pronti a stringere un nuovo patto di lealtà verso un Governo che non si è mai confrontato con un voto elettorale, ma che ha ricevuto, senza precedenti storici, il sostegno diretto da parte della società civile che si è espressa chiaramente in occasione di questa crisi. Il Presidente dimissionario è irremovibile, prendere o lasciare, è l’ora di dire con chiarezza da che parte stare e sceglie di porre la fiducia sulla risoluzione Casini, che laconicamente chiede solo di approvare tout court le comunicazioni del Presidente.
Lealtà di tutto il centro sinistra
Pd, Italia Viva e Leu rispondono ai tanti appelli degli italiani, dai sindaci agli insegnanti alle associazioni del terzo settore, confermando la fiducia al Governo di unità nazionale, in nome delle emergenze sanitarie-economiche-ambientali e sociali che aspettano una risposta immediata. “Se eravamo già convinti, ora lo siamo ancora di più”, twitta da fuori il Parlamento il segretario del Pd Letta. “Non abbiamo paura del voto – spiega la Malpezzi (PD) in Aula – ma di lasciare il Paese senza guida”. Anche Casini (Gruppo Misto) e la Bonino (+Europa) ricordano a Draghi che è un suo dovere rimanere, lo chiede il Paese, ma, senza indulgere in populismi dice la Bonino, lo chiede anche un Parlamento che di fatto non l’ha mai sfiduciato. Scontato l’appoggio della neo formazione di Di Maio, Insieme per il futuro.
Il no compatto del centro destra
Ma la delusione del centro destra è unanime. Fratelli d’Italia, già forza di opposizione, a maggior ragione chiede senza giri di parole il ritorno alle urne votando nettamente no. Se questa non è stata una sorpresa, lo è stata la posizione di Forza Italia e Lega che si ricompattano, dopo tante divisioni dei mesi passati, ed esprimono l’unanime stupore per la richiesta di votare la scarna risoluzione Casini invece che la loro, che chiedeva di continuare ma sulla base di un nuovo patto, basato su altre fondamenta. Non si dice esplicitamente nel loro documento la esclusione del Movimento 5 stelle, ma lo si evince chiaramente dalle dichiarazioni di voto: “Vogliamo costruire una compagine di persone serie”, ha infatti detto il leghista Candiani. “Per 55 volte abbiamo votato la fiducia al suo Governo – ha aggiunto la Bernini per conto del presidente Berlusconi –. Crediamo nel direttore di orchestra ma non negli orchestrali stonati”. Per questo decidono di non partecipare al voto uscendo dall’Aula.
M5S: “Leviamo il disturbo”
La più attesa è stata la decisione del Movimento 5 Stelle, che non si assume la responsabilità della apertura della crisi ma rivendica l’esercizio del diritto al dissenso come in più occasioni hanno fatto nei mesi precedenti anche gli altri partiti. A lungo, ha detto la senatrice Maria Domenica Mastellone, il Movimento ha chiesto di non porre la fiducia su un decreto, il Ddl Aiuti, non condivisibile dai pentastellati, senza ottenere l’appoggio delle altre forze politiche. Ma se in quella circostanza il non appoggio al Governo è stato indiretto, in questo caso è stata una scelta chiara. “Leviamo il disturbo” ha detto la Mastellone, non partecipando al voto, ma senza uscire dall’Aula per garantire il numero legale. Forse un guizzo di responsabilità finale per evitare lo stallo del Parlamento che avrebbe bloccato il Paese.
Draghi al Colle in mattinata, dopo il voto alla Camera
In corner abbiamo assistito a una defezione eccellente rispetto alle indicazioni di partito, quella della ministra Gelmini che abbandona da Forza Italia, ma non basta a fermare la probabile ascesa al Colle da parte di un Drago stanco e sfiduciato, ormai convinto, al di là del risultato numerico, che la maggioranza si sia sfarinata. ” Si poteva concludere in maniera più dignitosa”, è l’amaro commento del ministro leghista Giancarlo Giorgetti, uscendo dal Senato. “Una decisione folle, assurda, una giornata di follia”, ha detto, invece, Enrico Letta ai giornalisti del Tg rispetto alle decisioni dei tre partiti che hanno voluto scrivere la parola fine.
Garantito il numero legale. 95 si, 38 no
Per passare, la fiducia richiedeva la maggioranza assoluta più uno, quindi la presenza di 162 senatori per raggiungere il numero legale, anche se in questo caso, tra malattie e missioni, il numero si era abbassato a 142. Alla fine 192 le presenze in Aula, 95 i si e 38 no l’esito del voto. I gruppi di Aut, Ipf, Iv, Pd e Misto-Leu hanno dichiarato il voto a favore. FI-Udc (con il dissenso di Andrea Cangini che si è espresso a favore), Lega e M5S hanno dichiarato la non partecipazione al voto (anche se molti senatori M5S hanno ‘garantito’ il numero legale risultando ‘presenti e non votanti’ in Aula). I no sono stati espressi da FdI, Cal e alcune componenti del Misto.