La pazienza di Draghi ha un limite. In autunno arriverà il gelo economico e il taglio del gas. Bonus e stipendi più alti vanno bene a condizione che si premi chi vuole far crescere il Paese. In politica giocare allo sfascio porta con sé responsabilità gravi per un Italia con la recessione alle porte.
Per il lavoro, salari e il futuro dei contratti nazionali sarà una settimana delicata, con molte incognite. Martedì prossimo è previsto a Palazzo Chigi il ritorno di una trattativa tra sindacati associazioni di categoria e Governo dovrà fare chiarezza sul tipo di contrattazione che si vuole intraprendere. Se basta la Contrattazione collettiva, – modello che finora ha avuto successo ed è un fiore all’occhiello dell’Italia – oppure si punterà per una parte consistente di persone quelli che rientrano tra i “lavoratori poveri” -, sul salario minimo. Bonus e stipendi sono temi super divisivi tra sindacati e Associazioni datoriali. Il confronto servirà anche per sapere chi beneficerà del cuneo fiscale. I sindacati insistono che le risorse devono andare a rendere gli stipendi più consistenti, mentre le imprese chiedono risorse per nuove assunzioni e produttività.
Poche risorse, troppi bonus
È evidente che le risorse sono poche, che nel Paese c’è necessità di lavoro stabile e ben remunerato, ma se si discute di questo sarà anche impossibile, puntare ancora sull’assistenzialismo. Si discute poco o nulla sui troppi miliardi spesi per il RdC, mentre mancano che far produrre il Paese. Si tratta di soldi, inoltre, che per una parte considerevole non arrivano nemmeno a chi ne ha realmente bisogno. I principali Bonus economici vigenti sono una quarantina e in questo ultimo triennio (2020-2022) si stima che costeranno allo Stato almeno 113 miliardi di euro (per la precisione 112,7). Il cui costo complessivo è arrivato a 113 miliardi. I partiti dovrebbero discuterne più che inseguire il facile consenso politico ed elettorale.
Draghi, punta su Franco e Orlando
Il premier Mario Draghi ha una priorità far quadrare i conti, non prevedere nessun scostamento di bilancio, e nel contempo punta su una pace sociale in attesa di un autunno difficile. Per stipendio, salario minimo e contratti, scenderanno in campo due ministri, Daniele Franco per l’Economia e Finanze e Andrea Orlando per quello del Lavoro e Welfare, toccherà a loro mediare e trovare una soluzione.
Non sarà semplice le Associazioni di categoria ripetono, sul salario minimo, che c’è una contrattazione collettiva che garantisce il lavoratore in termini ampi, e che le aziende sottoscrivono contratti onerosi e comprensivi di tutto.
Il ministro del lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando per mediare ha un’idea, quella di adottare il Trattamento economico complessivo (Tec) dei contratti collettivi più rappresentativi di ciascun settore. Secondo le proiezioni del Ministero il Trattamento economico complessivo permettere a 700 mila lavoratori di uscire dallo stato di povertà. Sul fronte delle Associazioni di categoria finora non sono arrivate risposte alle ipotesi del ministro. Saranno annunciate durante la riunione ma la contrarietà al “salario minimo” è per loro nei numeri e nelle scelte che si vogliono fare. O si decide per la Contrattazione collettiva per raggiungere un equilibrio, oppure la risposta sarà no ad un salario minimo che non aumentare posti e produttività.
I conti di Confindustria
Il dossier più corposo sarà quello dell’aumento dei salari. Il calcolo proposto da Confindustria e che porterà sul tavolo di Palazzo Chigi, prevede una spesa di 16 miliardi di euro per incrementare le retribuzioni di 1.200 euro all’anno. Una costo che le imprese indicano come insostenibile perché sarebbe uno stipendio in più l’anno. I sindacati, invece, insistono in modo perentorio nel chiedere il doppio, 200 euro mensili netti di aumento. La priorità di Cgil, Cisl e Uil è di far recuperare ai lavoratori la perdita del potere di acquisto subita per inflazione e costi dell’energia. Il segretario della Cgil Maurizio Landini alza il tiro. “Noi diciamo che 200 euro non sono sufficienti”, scandisce Landini che rilancia, “basta con le una tantum. Adesso servono 200 euro netti al mese in busta paga, per sempre non una tantum”. Anche in questo caso i conti non tornano.
Dal Ministero dell’economia e finanze, si mettono nel piatto “soli” 8 miliardi, fondi che tra l’altro dovranno servire anche ad aiutare le imprese più esposte all’acquisto di energia.
I dossier affossa maggioranza
Salari, cuneo fiscale e incentivi, dominerà il dibattito politico dei prossimi giorni. C’è da chiedersi con quale serenità e serietà ne discuterà una maggioranza di Governo alle prese con divisioni e tensioni crescenti. Dove i 5S pongono veti e ultimatum su iniziative sulle quali servono chiarezza, coraggio e impegno nel cercare soluzioni.
C’è chi gioca allo sfascio
Si ha la sensazione che in questa estate torrida non ci si preoccupi più del gelo economico e meteorologi che arriveranno in autunno. Ad iniziare da quello reale con il blocco totale del gas russo, che come prevede il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, sarà recessione.
Ci dividono poche settimane da uno scenario inedito e largamente imprevedibile. La gara a tirare la fune delle richieste è pericolosissima. È vero che la riforma della previdenza è ferma, che c’è il monta e rismonta dei pezzi della riforma fiscale, così come per i temi del lavoro – oltre a salario minimo ci sarebbe da pensare al rinnovo dei contratti scaduti per oltre 6 milioni di lavoratori – si sono accumulati ritardi e che il Piano nazionale di Ripresa ne subirà diversi inciampi.
È comunque altrettanto evidente che la politica rischia grosso. Mario Draghi ha una grande pazienza ma non sarà illimitata di fronte a dei partiti che hanno a cuore più i sondaggi che il Paese. Martedì avremo una conferma se tutti, dai sindacati alle Associazioni di categoria, dal Governo ai partiti, riusciranno a fare uno sforzo reciproco in direzione di una maggiore coesione del Paese o se si giocherà a far saltare tutto in attesa di improbabili rivincite personali ed elettorali.