L’esigenza di modificare il sistema di valutazione professionale dei magistrati origina dall’inefficacia della previgente impostazione. Ed invero, dalle ultime statistiche del Consiglio superiore della magistratura è emerso un dato incontrovertibile nella misura in cui la percentuale dei magistrati promossi tende al 100%.
Del resto, il rilievo non sorprende se si considera che il sistema tradizionale non consentiva di modulare la valutazione finale, dovendo quest’ultima sfociare unicamente in uno dei seguenti esiti : positiva, non positiva ovvero negativa.
Al fine di elidere le criticità di cui sopra, si rendeva necessaria una riforma che avrebbe dato ingresso ad un diverso sistema valutativo; sul punto, la scelta del legislatore è stata quella di introdurre una nuova metodologia incentrata sulle c.d. pagelle ai magistrati.
Siffatta rivoluzione è stata avviata per il tramite del disegno di legge n. 2595, approvato dalla Camera dei deputati lo scorso 26 aprile, ove si prevede che la valutazione si articoli in giudizi maggiormente graduati e del seguente tenore : inidoneo, discreto, buono ovvero ottimo.
Occorre subito premettere che i criteri valutativi declinati dalla suddetta cornice normativa al capo I (“delega al governo per la riforma ordinamentale della magistratura”) necessitano di maggiore specificazione.
Pertanto, trattandosi di una delega, appare opportuno valutare la complessiva portata della riforma soltanto all’esito delle scelte operate dal legislatore delegato.
Nello specifico, il d.d.l. de quo richiede l’adozione di criteri al fine di esaminare il merito e le attitudini del magistrato, dettando al contempo talune importanti indicazioni.
Difatti, l’art. 2, co. 3 pone l’accento sull’esigenza di tenere in considerazione il settore del diritto ove il magistrato ha concretamente operato.
Eppure, il novum è rappresentato dalla predisposizione di singoli fascicoli al cui interno sarà documentata l’attività svolta dal magistrato, dovendosi altresì attribuire rilievo a plurimi elementi quali l’impugnazione dei provvedimenti adottati, nonché i tempi di durata del procedimento. Emerge, pertanto, sotto questo profilo, il tentativo di assicurare la ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., garantendo al contempo il raggiungimento di uno degli obiettivi precipui imposti dal P.N.R.R.
Nell’ottica di una generale velocizzazione, la delega mira altresì ad una complessiva riorganizzazione degli uffici giudicanti, prevedendo che i relativi documenti e tabelle siano elaborati sulla base di modelli standard e che le procedure di approvazione delle tabelle organizzative siano semplificate. In particolare, queste ultime dovranno intendersi approvate qualora il Consiglio superiore della magistratura non si sia espresso in senso contrario.
Eppure, il pregio del rinnovato sistema si lega al rilievo da attribuire non solo ai meriti, ma anche agli errori commessi in seno alla magistratura; basti pensare, ex plurimis, alla quantità di sentenze ribaltate ovvero di indagini lacunose, elementi che confluiranno nel fascicolo per la valutazione del magistrato.
Peraltro, è verosimile che l’affacciarsi di un marcato grado di oggettivizzazione nelle valutazioni porterà con sé un allontanamento dalla logica della correnti.
Al fine di assicurare la massima trasparenza in sede valutativa, si prevede altresì che avvocati e professori universitari abbiano facoltà di assistere alle deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari.
Incidentalmente, occorre porre l’accento sul fatto che il coinvolgimento del mondo dell’avvocatura diviene più concreto ed effettivo in ragione dell’attribuzione di un diritto di voto unitario in capo alla stessa. Nondimeno, fermi i rilievi suesposti, non si possono sottacere talune criticità sottese ad un siffatto sistema, espresse dalla stessa magistratura.
Sul punto, difatti, si è osservata la pericolosità insita nel correlare la valutazione della professionalità al complessivo andamento del processo, come se un’assoluzione successiva ad una condanna in primo grado rappresentasse automaticamente un errore tale da precludere una progressione di carriera. Come noto, i magistrati, per dettato costituzionale, si distinguono soltanto per funzioni, e non è detto che il giudice di secondo grado (o addirittura l’organo di legittimità), che annulli il provvedimento di primo grado, non incorra in errore a sua volta.
Ne consegue che la valutazione di professionalità di un magistrato non può essere collegata alla percentuale di conferme o annullamenti di provvedimenti, se non a rischio di determinare una sorta di giurisprudenza difensiva, come già avvenuto nel campo della medicina a seguito dell’aumento di casi giudiziari attinenti alla responsabilità medico-sanitaria. Si determinerebbe in tal modo un aumento del conformismo giudiziario che renderebbe più difficile realizzare l’esigenza di una giurisprudenza evolutiva, nel segno del riconoscimento delle nuove frontiere dei diritti, segnate da una società che muta e progredisce più velocemente di quanto possa fare la Legislazione.
*Prof. Avv. Paola Balducci, già componente laico del CSM