mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Società

Religione. Chiese chiuse, poche vocazioni e solo un quarto dei battezzati partecipa al culto

Sei chiese vengono aperte e consacrate e 50 sono chiuse. Sempre meno luoghi di culto, con una profonda crisi delle vocazioni. È l’Italia di fronte alla religione cattolica, che registra la chiusura delle chiese, un costante calo delle vocazioni, e la drastica riduzione dei fedeli. Le parrocchie perdono il loro terreno e ruolo dal 2003 con la progressiva diminuzione di presenze e sacerdoti. Sono i dati, – quelli riferiti alla chiusura delle chiese -, che emergono dal ministero dell’Interno che periodicamente sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Un conto inesorabile con la cancellazione di quelle chiese che per mancanza di parroci e fedeli sono poi destinare ad essere chiuse.

Le parrocchie

In Italia ci sono 25mila parrocchie distribuite su 226 diocesi. Il calcolo di quanti cittadini residenti possono coprire oscilla per ogni parrocchia che può avere un bacino di presenze che oscilla tra i 1500 e i 3 mila cittadini. Ma si tratta di calcoli che nelle grandi città non sono possono essere prese in considerazione.
Ad esempio a Roma ci sono parrocchie che servono un bacino anche di oltre 20mila persone. Poi ci sono le aree montane e rurali, quelle interne, i piccoli paesi dove il fenomeno dello spopolamento pesa sulle comunità parrocchiali. Il tutto si traduce nella chiusura delle chiese. Una tendenza che appare inarrestabile. L’ultimo dato del 18 febbraio scorso registra la cancellazione di sette parrocchie, con niente nuove iniziative.

Le Unità pastorali

Per arginare il fenomeno della chiusura delle chiese, sono state costituite le Unità Pastorali con la volontà di unire le parrocchie vicine e affini per territorio. Per loro c’è un solo sacerdote che deve fare la spola tra più chiese. Stando ai calcoli ci sono poi parrocchie che parroci. Per evitare nuove chiusure c’è l’impegno di inserire sacerdoti stranieri che però per le norme del Concordato devono risultare cittadini italiani, e non tutti hanno questo requisiti. Alcuni sacerdoti hanno assunto una funzione di collaboratori, pur celebrando la messa e amministrando i sacramenti.

La doppia crisi

La Chiesa si trova di fronte ad un doppio problema, la riduzione del numero dei sacerdoti e dei fedeli. Per questi ultimi i dati sono ancora meno incoraggianti. Di tutti i battezzati e quindi cittadini di religione cattolica, meno di un quarto poi diventa praticante. Con un progressivo allontanamento dalle chiese e dal culto.

La crisi delle vocazioni

Sempre meno preti con una caduta delle vocazione che negli ultimi trenta anni ha avuto numeri significativi, senza nessun accenno di controtendenza. In percentuale il calo è stato di oltre il 16 per cento. In termini numerici se nel 1990 i sacerdoti erano 38 mila 209, nel 2022 sono 32 mila. Si tratta di 6mila parroci in meno. Il Vaticano pur avendo favorito l’inserimento di sacerdoti stranieri il loro numero non compensa quello dell’allontanamento dall’impegno sacerdotale. Facendo alcuni raffronti numerici i sacerdoti stranieri al servizio delle diocesi italiane, sono passati da 204 nel 1990 a 2.631 nel 2020. Troppo pochi per compensare i calo delle vocazioni.

La voce di Papa Francesco

Sul tema delle crisi delle vocazioni fa sentire la sua voce accorata Papa Bergoglio che parla della “umiliazione” dei numeri.
“Umiliati, umiliati! Non so se mi sono spiegato. Dobbiamo abituarci all’umiliazione”, sottolinea il Papa in un suo recente intervento sul tema, indicando le cifre della Compagnia di Gesù.
“Una cosa che richiama l’attenzione è il debilitarsi della Compagnia. Quando sono entrato in noviziato, eravamo 33.000 gesuiti. Ora quanti siamo? Più o meno la metà. E continueremo a diminuire di numero. Questo dato è comune a tanti Ordini e Congregazioni religiose. Ha un significato”, osserva Bergoglio nel dialogo con i gesuiti nell’ultimo viaggio apostolico in Grecia e Cipro, reso noto dal direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, “e noi dobbiamo chiederci quale sia”.
“In definitiva”, dice Francesco, “questa diminuzione non dipende da noi. La vocazione la manda il Signore. Se non viene, non dipende da noi. Credo che il Signore ci stia dando un insegnamento per la vita religiosa. Per noi ha un significato nel senso dell’umiliazione. Negli Esercizi Spirituali Ignazio punta sempre a questo: all’umiliazione. Sulla crisi vocazionale il gesuita non può rimanere al livello della spiegazione sociologica. Questa è, al limite, la metà del vero. La verità più profonda è che il Signore ci porta a questa umiliazione dei numeri per aprire a ciascuno la via al ‘terzo grado di umiltà’, che è l’unica fecondità gesuitica che vale. Il terzo grado di umiltà è l’obiettivo degli Esercizi”.

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