venerdì, 15 Novembre, 2024
Attualità

Quirinale: errori nelle trattative. I partiti “ignoranti negoziali”

I nostri politici sono degli ignoranti negoziali. Nel senso letterale del termine: non studiano e non applicano le regole basilari della negoziazione nell’elezione del Presidente della Repubblica e perciò fanno pessime figure.

Infatti, lanciano nomi di candidati a casaccio, fanno piccole reciproche prove di forza, non dialogano a sufficienza.

Secondo la teoria di Roger Fisher, fondatore dello Harvard Negotiation Project oltre 50 anni fa, la prima regola in negoziazione è “Prepararsi”. E di tempo per prepararsi i nostri partiti ne hanno avuto tanto, almeno un anno e passa, dall’incarico a Draghi e gli avvertimenti di Mattarella sulla sua volontà di non essere rieletto.

Il secondo principio violato dai nostri politici è spiegato da Kissinger e dalla sua negoziazione per far uscire la ex Rhodesia dall’apartheid negli anni ’70 del secolo scorso.

Ciascun partito avrebbe dovuto domandare agli altri: cosa è che massimamente non volete che accada? E poi: qual’ è l’interesse che più vi sta a cuore?

Sarebbero dovuti seguire incontri riservati tra sherpa (e non immediatamente leader di partito) per buttare giù su una lavagna le liste dei massimi timori e dei più importanti interessi dei singoli partiti. A questo punto dovevano cercare di incrociare questi dati, eliminando quelli in aperto contrasto tra loro (es. vogliamo un presidente notoriamente di sinistra v. vogliamo un presidente notoriamente di destra).

Questo sarebbe stato il famoso negoziato sul ‘metodo’ di cui i partiti si sono riempiti la bocca nelle settimane passate, ma a cui non hanno fatto seguire incontri.

Raggiunta una lista compatibile da una e altra parte, si sarebbe dovuto passare ai profili e nomi dei possibili eletti, tenendo conto di questi elementi di comunione.

Nelle riunioni riservate ciascun partito o fronte avrebbe dovuto chiedere agli altri se avrebbero dato il loro consenso ad un nome che il fronte opposto avrebbe potuto accettare.

Torniamo a Kissinger e all’apartheid, per spiegarci. Durante una spola di incontri segreti Kissinger chiedeva ai Paesi africani confinanti se sarebbero stati d’accordo a dare aiuti in caso il governo pro- apartheid avesse fatto alcune concessioni. I leader di questi Paesi – sicuri che quelle concessioni non sarebbero state fatte- davano il loro consenso. Ma Kissinger nei giorni precedenti in altri incontri segreti aveva già ottenuto il consenso del fronte pro-apartheid. E viceversa a parti rovesciate.

A questo punto Kissinger in incontri pubblici annunciava le aperture di un fronte e le concessioni dell’altro. Certo, ogni tanto usava la minaccia delle conseguenze catastrofiche che sarebbero seguite se non ci fossero state le concessioni. Ma questo anche si sarebbe potuto fare da noi.

E tornando a noi, raggiunta una lista corta di possibili nomi di candidati comuni, si sarebbe svolto l’ultimo round di trattative in presenza tra i leader per giungere all’ultimo nome, poi votato.

Facile? No di certo, ma comunque più logico e meno disastroso di ciò a cui sta assistendo in questi giorni il popolo italiano.

*Gian Luca Rabitti, avvocato LLM ad Harvard, esperto di tecniche di negoziazione

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