Nella prima udienza generale dell’anno, il Papa è tornato sull’inverno delle nascite, parlando di “un’epoca di notoria orfanità”, proprio mentre l’Italia tocca il picco più basso dell’indice di natalità. Il Pontefice ha ricordato come nella genitorialità esista sempre un grado di rischio, ma che è maggiore il rischio che si corre nel non avere figli. Anche lo Stato deve fare la sua parte, ha proseguito Bergoglio, incoraggiando e sostenendo chi genitore vuole diventarlo attraverso l’adozione, una delle forme di amore più alte di cui è stato capostipite proprio Giuseppe, padre putativo di Cristo. Delle reali difficoltà che si incontrano nell’adozione, quindi, abbiamo volto parlarne con un esperto, il dottor Riccardo Ripoli, che da 35 anni si occupa di affido.
Lei che si occupa da tanti anni di infanzia disagiata, ci spiega quali siano le difficoltà che una coppia incontra nell’adottare un bambino?
Le difficoltà sono oggettive, soprattutto in termini temporali ma bisogna fare alcuni distinguo per capire bene la questione. Perché un bambino sia ritenuto adottabile occorre fare lunghe e approfondite indagini sulla situazione familiare di origine, si interrogano i familiari fino al quarto grado di parentela. Ogni bambino, infatti, ha il diritto di crescere nella propria famiglia, un diritto sancito dalla legge, le indagini sono garanzia di democrazia e legalità. Tutti conosciamo, però, quanto siano lunghi i tempi della giustizia italiana, rientra nel fenomeno più generale.
Lei sta dicendo che è un problema legato alle lungaggini dei procedimenti ma non di procedure sbagliate?
Si. Se una famiglia, infatti, intende adottare un bambino tout court, senza porre paletti legati all’età, al sesso, all’etnia, al colore dei capelli o degli occhi, l’adozione in Italia è semplicissima e rapida. Il problema è che nessuno vuole bambini grandi di cui sono piene le case famiglia che hanno sostituito gli orfanatrofi. Tutti vogliono i neonati e per questo si complicano le cose.
Ma è giusto che ognuno faccia scelte vicine alle proprie capacità emotive e psicologiche?
Si certo, infatti non c’è giudizio morale su questo. Ma di neonati abbandonati alla nascita, in ospedale come permette la legge, non ce ne sono così tanti. Per gli altri vale il discorso di prima, degli accertamenti, che possono prolungarsi nel tempo e quando arriva il decreto di adottabilità il bambino è cresciuto e le famiglie cui era destinato non sono più disponibili.
Per questo si ricorre all’adozione internazionale?
Si, ma qui apriamo un altro capitolo spinoso. Le adozioni internazionali hanno un tasso di fallimenti molto alto, parlando con giudici e psicologici mi dicono che addirittura la cifra si aggira intorno al 50 se non all’80%, perché esiste un legame ancestrale con le proprie radici che spessissimo i ragazzi in età adolescenziale vanno a ricercare. Ogni bambino, che non sia davvero neonato al suo arrivo, si porta dietro il proprio bagaglio di tradizioni e valori diversi dai nostri. Associazioni internazionali come “Terre des hommes” da anni si battono per abolire le adozioni internazionali. Il principio in vigore in Italia che ogni bambino ha il diritto di crescere nella propria famiglia è valido per tutto il mondo. Senza parlare, poi, del mercimonio che esiste dietro da parte delle associazioni che se ne occupano o degli stessi Governi esteri.
Dovremmo, quindi, abbandonare tutti quei bambini destinati a sofferenze, malattie e fame?
Certo che no, ma bisognerebbe investire nello sviluppo locale, nella costruzione di istituti per l’infanzia, scuole e assistenza alle famiglie nelle terre di origine. Nella cooperazione internazionale, esattamente come si dice per quel che riguarda i grandi fenomeni migratori. Come ho detto, il rischio più grande è che queste adozioni falliscano.
Quindi da noi le regole sono giuste, non è qui il problema?
A livello normativo c’è un solo grande limite nella nostra giurisprudenza, il fatto che la legge sull’adozione e sull’affido sia un testo unico. Questo può ingenerare confusione tra due istituti completamente diversi, perché l’affido è temporaneo, lo scopo è quello di cercare di reinserire il bambino nella famiglia biologica, mentre l’adozione è per sempre. Molte famiglie pensano di poter aggirare l’ostacolo delle lungaggini prendendo in affido un bambino, magari neonato, confidando nel fatto che le difficoltà dei genitori biologici, economiche, sociali, di tossicità o di qualsiasi altra natura, non siano superabili. Invece, l’affido è l’atto d’amore per eccellenza, perché si pensa solo a dare a un minore quella casa di cui avrebbe diritto sapendo che è a tempo determinato e non indeterminato.