Ho appena finito di leggere un libro molto interessante, dedicato quasi esclusivamente al Mezzogiorno. Il suo titolo è “Una Profezia per l’Italia”. Gli autori sono due illustri intellettuali: Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone. Sul retro della copertina sono sintetizzati il senso e la finalità del libro: “Oggi – scrivono gli autori – non si tratta più di trovare le vie per integrare il Meridione nel resto della penisola. Si tratta di rifare per intero il Paese, cogliendo un’occasione irripetibile.
È l’Italia nel suo insieme, il suo modo di essere Paese e Stato, che vanno ripensati. Per dare vita a questa nuova storia c’è più che mai bisogno del Mezzogiorno”. La stessa intuizione, a dire il vero, la ebbero nel secondo dopoguerra, De Gasperi, Einaudi, Menichella, Saraceno, Umberto Zanotti Bianco e Gabriele Pescatore. Intuirono subito che la questione meridionale non riguardava solo l’economia e lo sviluppo delle regioni del Sud. Andarono ben oltre.
Si resero conto che senza l’intervento straordinario dello Stato, il Sud non si sarebbe mai più integrato nella vita della nazione. Senza la sua modernizzazione, l’Italia sarebbe diventata un’altra “espressione geografica”, come sprezzantemente la definì il Cancelliere dell’impero austriaco Principe di Metternich, al Congresso di Vienna. Una penisola, con un ricco Lombardo-Veneto, le regioni centrali al rimorchio e con il Sud sempre più lontano e avulso dalle aree più progredite del Paese.
Ora è l’Europa che dovrà farsi carico del Mezzogiorno
Con la pandemia ancora in corso, lo scenario è completamente cambiato. Con il Pnrr, non è più lo Stato che si fa carico della “questione meridionale”. È l’Europa che cambia registro, individuando (finalmente!) nel Mediterraneo e quindi anche nel nostro Mezzogiorno, il suo tallone d’Achille. È partendo dal mare, da quest’area strategica, che si ricostruisce non solo l’Italia ma l’Europa intera. Questa volta, però, non potrà essere solo la Banca centrale o lo Stato Italiano a farsi carico della questione. Infatti, com’è successo negli ultimi vent’anni, per far ripartire il Sud, non bastano solo i soldi, i sussidi e i bonus. Ci vuole ben altro.
Una nuova resistenza civile per far ripartire il Sud
Occorre un forte sentimento di resistenza civile per contrastare il declino, per combattere l’indifferenza, per sottrarsi alla rinuncia. Ma per scatenare questa “rivoluzione culturale” servono soprattutto le energie e l’entusiasmo delle nuove generazioni. Sentiamo ripetere sempre più spesso che dopo la pandemia nulla sarà più come prima. E quasi sicuramente andrà così. Lo spiegano molto bene gli autori di questo libro. Il loro auspicio è che al Sud possa nascere un nuovo popolo.
Che possa maturare una nuova dimensione della cittadinanza. Che possa avviarsi una nuova stagione di doveri e non più solo di diritti, di piagnistei e di pretese. Al Mezzogiorno, per stare al passo con l’Europa, serve un supplemento di senso civico e di rispetto delle regole. Due fattori indispensabili per rafforzare il sentimento di una comune appartenenza al Paese e alla Nazione.
Come direbbe Federico Rampini, Il ritorno al Sud, per l’Italia, apre un nuovo cantiere della Storia. Il cantiere della Nuova Europa che dovrà essere costruita non solo sulla moneta, sulla stabilità finanziaria o sui vincoli di bilancio, ma sempre più alimentata da quelle radici cristiane che, sin dai tempi di Carlo Magno, né le guerre né le ideologie totalitarie del “secolo breve” son riuscite a distruggere.