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Se un po’ di cervelli rientrassero al Sud 

venerdì, 5 Novembre 2021
2 minuti di lettura

Tra i tanti provvedimenti messi in campo dal Governo Draghi per favorire l’attuazione del Piano di rinascita, ce n’è uno che ha suscitato in me non solo un forte interesse ma anche tanta speranza. Mi riferisco al decreto legge varato a fine Ottobre sulla semplificazione delle procedure e in più in generale sui procedimenti amministrativi, fatti apposta per complicarci la vita. Nel capitolo dedicato alla Scuola e all’Università è previsto che gli Atenei, compatibilmente con le proprie disponibilità di bilancio, “possono procedere alla copertura di posti di professore ordinario e di ricercatore mediante chiamata diretta di studiosi stabilmente impegnati all’estero”. E in più sono previsti aumenti delle borse di studio e di alloggi per studenti, nonché procedure semplificate per far tornare i ricercatori italiani che vivono all’estero.  Eccola qui la novità.

Ora che il nostro Paese può disporre di tutte queste risorse, potrebbe finalmente escogitare un sistema non dico per impedire, ma quantomeno per rallentare questa fuga dei cervelli? La risposta, soprattutto quando parliamo del Sud, non è così semplice. E vediamo perché. Secondo i dati dell’Istat, solo nel 2018, sono andati via dall’Italia 117 mila giovani, di cui 30 mila laureati. Se le Regioni del Sud non offrono possibilità di carriera e gratificazioni professionali, i giovani se ne vanno altrove. Una ricerca della Roma Business School ci racconta un’altra amara verità. E cioè che la “fuga” di questi giovani, per i nostri conti pubblici, si traduce in un vero e proprio salasso. Ci costa tra i 25 e i 30 miliardi di euro all’anno. Per non parlare della perdita in termini di capitale umano: il 72% del totale degli espatriati ha 25 anni e il 32% di questi sono laureati. Sempre su quest’argomento, la Svimez ci informa che negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Sud Italia oltre 1 milione e ottocentomila giovani. Di questi, la metà ha tra i 15 e i 34 anni.

Un quinto sono laureati e ben 800 mila non sono più tornati. Non possiamo rassegnarci a questo destino e infatti il Governo sta cercando, pur tra mille difficoltà, di invertire il senso di marcia. E’ vero che non sempre la fuga dei cervelli è un fatto negativo. Ma la costrizione alla fuga non è propriamente una scelta. E’ una condanna. E allora, cari signori della cabina di regia, proviamo a ribaltare gli schemi del passato. Ora che ci arrivano i soldi, che facciamo, diamo forfait per mancanza di cervelli? E poi, non chiediamoci più: “Ma quanto guadagnano?” Cambiamo registro una volta per tutte e domandiamoci: “Ma questi giovani che rientrano dall’estero, con la loro preparazione e la loro esperienza, quanto potrebbero far guadagnare ai Comuni, alle Regioni e alle Pubbliche Amministrazioni?” Una cosa è certa: se al Sud tornassero non dico la metà, ma un decimo dei giovani espatriati, saremmo in presenza del primo, vero, grande miracolo che la politica, complice la pandemia, riesce a fare per il nostro Sud.

 

Michele Rutigliano

Giornalista, è nato a Ferrandina (Matera) nel 1953. Vive e lavora a Roma. Dopo la laurea in Legge si è specializzato in Scienza delle Comunicazioni Sociali alla Pontificia Università Gregoriana. Ha lavorato alla Camera dei Deputati, presso la Commissione Bicamerale per il Mezzogiorno, all'Ufficio Stampa e alle Commissioni Parlamentari. Nella X Legislatura è stato Segretario particolare del Vicepresidente della Camera On. Michele Zolla. Successivamente, in posizione di distacco, al Quirinale, presso la Segreteria particolare del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Attualmente collabora con riviste e quotidiani su progetti legati allo sviluppo del Mezzogiorno.

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