Estese all’intero settore delle cryptovalute le regole contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Un codice unico europeo armonizzerà le norme comprese quelle in materia di adeguata verifica della clientela, titolarità effettiva e poteri e compiti delle autorità di vigilanza e delle Unità di informazione finanziaria. Limite al contante a 10mila euro. Nuova Autorità.
Un’unità di contrasto al riciclaggio che sia Ue, e si coordini con quelle previste in ogni Paese membro. Le Fiu (Financial Investigation Unit) sono già contemplate per ogni Paese Ue, e non solo. Questi provvedimenti dovrebbero consentire all’Europa di avere pienamente operativa dal 2026 un’Authority unica, ma che non si ponga in contrapposizione con quelle nazionali.
Francamente, non si comprende l’esigenza di quella che rischia di diventare una sovrapposizione di attività esistenti, a meno che questa struttura non svolga l’unico compito utile: quello di attuare un coordinamento delle normative nazionali in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Ad oggi questa uniformità non c’è; senza indagare sulle motivazioni, che indurrebbero a dietrologie poco tecniche, va presto atto che la lotta al riciclaggio è ancora frammentaria e poco efficace in area Ue, senza dire del raccordo con gli alti Paesi del mondo.
Le direttive europee, sin dal 1991, non hanno visto un significativo miglioramento nei risultati, dato che – come noto – lo strumento giuridico della Direttiva ha consentito agli Stati membri di recepire male e con ritardo le prescrizioni. Sembra accantonata la logica del Regolamento per questo ulteriore passaggio, in maniera self- executing, senza dubbio più “useful” ed efficace per la normazione a livello centrale dei singoli Stati.
Male, molto male. Non serve l’ulteriore articolato di principi i quali, puntualmente, vengono importati in maniera schizofrenica dai singoli ordinamenti, ma regole chiare e univoche, con meccanismi di moral suasion e di enforcement che il Parlamento Ue non ha mostrato di saper articolare. Una Authority unica potrebbe far meglio, sempre che non si impantani in legacci burocratici e che incontri limiti effettivi all’operatività.
Il modello potrebbe essere anche misto, civili e esponenti di Forze di polizia all’interno. Ma la nostra Uif è un esempio virtuoso, che sta funzionando da modello in area Ue per gli scambi di informazioni con le omologhe Fiu, senza bisogno – in verità – di ulteriori compulsazioni e sollecitazioni a migliori prestazioni.
Se la nuova Autorità si candida a rinforzare l’esistente e non fare la semplice produttrice di istruzioni per le unità nazionali, ben venga.
A quanto si apprende, essa vigilerà sui grandi soggetti obbligati (come Bce fa sulle banche del sistema Ue), attraverso le braccia operative delle Autorità locali.
Noi siamo avanti. Le strutture della Banca d’Italia e dell’Uif, con la Guardia di Finanza e la Dia per il trattamento delle operazioni sospette, la Dna e le procure distrettuali antimafia, stanno mostrando una grande efficacia nei risultati raggiunti. Le regole del nostro D.lgs. 231 del 2007 sono rigidissime e difficilmente eludibili. Non così in altri Stati.
Per questo motivo la candidatura dell’Italia a sede dell’Istituto non è peregrina: la nostra rete di cattura dei fenomeni è molto fitta, con risultati lusinghieri.
I dati parlano da soli: ltre 120.000 segnalazioni l’anno di operazioni sospette da parte dei soggetti obbligati (intermediari finanziari e altri), lavorazione dell’80% delle stesse, sia da Uif che dalle Polizie citate, con risultati lusinghieri soprattutto nel contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo.
Si guardi, spero, ai risultati di servizio. E, soprattutto, all’efficienza “aziendale” che un Ente pubblico in questo delicato comparto deve portare con sé nel bagaglio essenziale.