Alberi firmati e sotto le luci niente. Il Natale diventa spettacolo e perde l’anima

Tra alberi firmati, vip e scenografie di lusso, il Natale diventa un evento da esibire. Ma in questa corsa alla spettacolarizzazione si perde il senso più profondo della festa, tra sacro, tradizione e silenzi dimenticati. Un viaggio nella trasformazione del Natale da simbolo spirituale a prodotto di lusso
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Un tempo l’albero di Natale era un rito intimo, domestico, quasi silenzioso. Si montava insieme, spesso con decorazioni conservate di anno in anno, cariche di ricordi e imperfezioni. Oggi, invece, il Natale si è trasformato in una scenografia di lusso, e l’albero non è più un simbolo, ma un manifesto. Non è difficile, infatti, trovare sui social tra le tante promozioni del merchandising delle feste anche quelle degli “stilist” che vantano alberi Anni ‘70 o nordici a casa di personaggi noti.

Un fenomeno sempre più evidente negli ultimi anni, quello di stilisti e maison di moda chiamati a “firmare” l’albero di Natale dei vip, degli hotel a cinque stelle, delle grandi piazze o delle case più esclusive. Alberi monocromatici, minimalisti o eccessivamente barocchi, decorati come passerelle verticali, pensati per essere fotografati, condivisi, consumati visivamente. L’albero non racconta più una storia, ma comunica uno status.

L’albero trasformato in uno status simbol

Il problema non è l’estetica in sé, né la creatività. Il problema è ciò che viene sacrificato lungo il percorso. In questa corsa alla spettacolarizzazione, il Natale perde gusto, profondità e soprattutto sacralità. Diventa un evento, non più un tempo. Un contenuto, non più un’attesa.

La presenza degli stilisti nel Natale dei vip è il simbolo perfetto di questa trasformazione: il sacro che si piega al brand, la tradizione che diventa marketing. L’albero non celebra più la nascita, la famiglia, il silenzio o la condivisione, ma l’ego, la firma, la riconoscibilità. È Natale solo se “fa tendenza”, dimenticando che anche il vecchio abete è un simbolo della cristianità.

La sua storia

Fin dalle sue origini non è nato per essere uno spettacolo, ma un rito. Prima ancora del cristianesimo, i popoli del Nord Europa portavano in casa rami di sempreverdi durante il solstizio d’inverno. Un gesto semplice, carico di simbolismo, che parlava di vita, resistenza e speranza nel momento più buio dell’anno. Però, tra il Quattrocento e il Cinquecento, in Germania, l’albero entra nella tradizione natalizia cristiana, decorato con mele, noci e luci come richiamo all’albero della vita e alla nascita di Cristo. Non era un oggetto di design, ma un segno. Non doveva stupire, ma accompagnare l’attesa.

In Italia l’albero arriva tardi e quasi in punta di piedi, convivendo a lungo con il presepe, molto più legato alla sacralità e al racconto evangelico. Era un elemento domestico, familiare, mai protagonista assoluto. Oggi, invece, quell’equilibrio si è ribaltato: l’albero è diventato centro della scena, amplificato, fotografato, firmato. Ha perso il suo legame con il tempo lento dell’attesa per aderire a quello rapido dell’esibizione.

E così scompare il senso del limite, della semplicità, del raccoglimento. Il Natale, svuotato del suo significato spirituale, diventa una vetrina permanente, dove tutto deve brillare. Nessun vuoto, nessuna ombra, nessun silenzio, tutti elementi fondamentali di ogni esperienza autenticamente sacra. Forse non è un caso che più gli alberi diventano perfetti, più il Natale sembri distante. Più sono costosi, più appaiono freddi. Più sono progettati, meno emozionano. Perché il sacro non nasce dalla firma di uno stilista, ma da un gesto semplice ripetuto nel tempo, da una luce accesa con rispetto, da un significato condiviso.

La bellezza della intimità

Recuperare il Natale non significa rifiutare il bello, ma ridare spazio al senso. Tornare a un’estetica che non urla, a un lusso che non ostenta, a una celebrazione che non ha bisogno di essere approvata sui social. Forse il vero atto rivoluzionario, oggi, è un albero storto, imperfetto, ma autentico. Un albero che non vuole piacere a tutti, ma ricordare qualcosa.

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