L’omosessualità nella Forze Armate tra passato e presente

A ottobre Netflix ha lanciato la serie tv “Boots”, la storia di un ragazzo segretamente omosessuale che si arruola nei Marines negli Anni ’90, epoca in cui esserlo era ancora illegale nell'esercito. Da alcune testimonianze dirette che abbiamo raccolto, di un uomo e di una donna gay che prestano servizio rispettivamente nell’esercito e nei carabinieri, abbiamo appurato che la situazione oggi è sicuramente migliorata, pur persistendo rigidità e intransigenze del passato, tipiche di un ambiente dalla “virilità performativa”
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L’uscita su Netflix di Boots, la serie tv che racconta di un ragazzo gay appena diciottenne che impulsivamente si arruola nei Marines negli Anni ‘90, riaccende il dibattito su cosa significasse essere allora un omosessuale nelle forze armate e cosa significhi esserlo oggi.

Tratta dal libro di memorie “The Pink Marine: One Boy’s Journey Through Boot Camp to Manhood” ispirato all’esperienza reale di Greg Cope White, la serie racconta con grande ironia e leggerezza il viaggio complesso di questo ragazzo in un ambiente duro e a tratti discriminatorio, nel rispetto, però, della vita militare e di quella fratellanza che si crea sotto le armi.

L’ostracismo del passato

Per lungo tempo, in gran parte del mondo, l’omosessualità è stata ritenuta incompatibile con le Forze Armate e, nonostante non esistessero divieti formali, il clima era per lo più ostile e discriminatorio sia sul piano sociale che professionale. All’inizio del XX secolo la situazione si inasprisce quando gli Stati Uniti cominciano a discutere di alcune proposte di revisione della legge militare americana negli “Articles of War of 1916” e, contemporaneamente, il Regno Unito, nel 1955, proibisce l’omosessualità nell’esercito e nell’Aeronautica per mezzo degli “Army and Air Force Acts”. Anche le nazioni che non introdussero mai un divieto ufficiale, comunque, consigliavano di esonerare gli omosessuali dal servizio militare.

Fino agli Anni ’90 l’omosessualità resta punita in molti Stati con l’espulsione dall’esercito, la revoca di grado e provvedimenti disciplinari. Gli USA furono gli ultimi ad abolire il divieto di servire nell’esercito da parte degli omosessuali dichiarati, un successo ottenuto dall’ex presidente Barack Obama che nel 2010 promosse l’abrogazione in Parlamento della legge “Don’t Ask Don’t Tell”, risalente al 1993 e per la quale era possibile marciare nell’esercito solo se non si fosse già fatto coming out.

I cambiamenti di oggi

Attualmente più di venti dei trenta Paesi che fanno parte della NATO consentono alle persone apertamente omosessuali di prestare servizio e in alcuni Stati, come Canada, Spagna, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio, Scandinavia e Stati Uniti, i partner dello stesso sesso possono accedere ai benefici familiari che prima erano riservati esclusivamente alle coppie eterosessuali.

Per quanto riguarda l’Italia non si può essere esclusi dalle Forze Armate a causa del proprio orientamento sessuale, tanto più che l’omosessualità non è più considerata una “devianza” o una “malattia”, grazie anche alle direttive europee che hanno eliminato le discriminazioni in ambito lavorativo, incluso quello militare. Ciononostante, esistono associazioni interne o vicine al mondo militare ancora impegnate a promuovere i diritti LGBTQ+ in questi settori, poiché, pur essendo la situazione sicuramente cambiata nel tempo, da alcune testimonianze dirette che abbiamo raccolto, di un uomo e di una donna gay operanti rispettivamente nell’esercito e nei carabinieri, risulta che non siano sparite del tutto alcune forme di bullismo, discriminazione e omofobia.

Qualcosa è cambiato. Io ho 28 anni e lo vedo chiaramente anche solo parlando con la mia compagna, che ne ha 40 – ci riferisce la carabiniera -. Lei racconta un ambiente molto più chiuso, dove bastava un sospetto per farti vivere male. Non dico che oggi sia tutto perfetto, perché esistono ancora battute storte, pregiudizi e quella diffidenza silenziosa che non capisci subito ma ‘senti’. Però non si respira più quell’aria pesante del passato. La verità è che la mia generazione è cresciuta con un po’ più di apertura, e questo si riflette anche nelle caserme. Non è un paradiso, ma non è nemmeno la realtà che lei ha vissuto”.

Attualmente esistono strumenti per poter reagire, come i reclami, attraverso i quali comunicare e segnalare l’accaduto e c’è maggiore consapevolezza e rispetto. “Oggi l’Esercito Italiano ha regole e strumenti per punire la discriminazione e quando qualcuno passa il limite può essere richiamato e sanzionato – ci racconta il militare -. Questo è il vero cambio: prima subivi e zitto. Ora subisci, ti alzi e lo segnali”.

Si può, cioè, vivere più facilmente senza il peso costante di sentirsi inadatti e sbagliati e di subire conseguenze gravi e offese da parte dei propri colleghi, anche se il cambiamento è ancora in essere. “Oggi alcuni scelgono ancora il silenzio ma non per tabù, quanto piuttosto per carattere o riservatezza. Chi teme l’omofobia teme soprattutto il giudizio di pochi stupidi rumorosi – ci racconta il militare – ma nella quotidianità è cambiata la cosa più importante: contano più la competenza e la lealtà delle categorizzazioni. Se restano pregiudizi? Sì. Se sono più forti della vita vera delle persone? Non più”.

Per le donne l’impresa è stata, e in parte ancora è, più difficoltosa per la doppia discriminazione, di genere e di orientamento sessuale: “Noi donne, già di base, ci portiamo dietro più pregiudizi: che non siamo abbastanza forti, abbastanza autoritarie, abbastanza ‘adatte’. Se poi sei anche ‘lesbica’, qualcuno pensa di poterti classificare in due secondi – ci racconta l’intervistata -. Non dico che sia una discriminazione costante e diretta, ma è una somma di piccole cose: i commenti, le supposizioni, le battutine. Negli uomini omosessuali la cosa spesso diventa più ‘spettacolare’, più evidente e attira certi tipi di attacchi. Per noi è più sottile, più ‘occhiate’ che offese aperte”.

Se, dunque, nel passato l’ambiente era estremamente brutale, “fatto di virilità performativa, battute, esclusioni, carriera che si incrinavano per un sussurro”, come ci racconta il nostro intervistato, oggi la situazione appare più rosea anche se le battute ancora persistono come anche i pregiudizi velati e una diffidenza silenziosa che si avverte forte e chiara. I tempi cambiano ma non così tanto da poter dire di aver vinto, specchio di un sentire collettivo sociale ancora a cavallo tra modernità e antichità, tra inclusione e bigottismo, tra libertà e condizionamenti.

Ma il futuro può sempre migliorare “La società italiana oggi si trova tra due estremi: apertura e nostalgia di pregiudizi vecchi come le antenne tv arrugginite sui tetti. Io, però, credo nel verso giusto della storia: verso l’inclusione”, conclude così il militare. Anche per la carabiniera le cose miglioreranno, anche se con i loro tempi: “Non siamo ancora a un punto in cui è normale al 100%, ma vedo colleghi giovani che non fanno una piega, che non giudicano, che non si preoccupano. La mentalità sta cambiando. Esisteranno sempre casi di omofobia, ma la direzione generale, secondo me, va verso una maggiore normalità. Il fatto stesso che io possa parlarne in un’intervista senza tremare è già un segno”.

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