Negli Stati Uniti il free birth indica un movimento che da qualche anno si sta diffondendo tra le future mamme e che, piano piano, sta seminando proseliti anche nel resto del mondo. La corrente promuove una gravidanza e un parto totalmente naturali, senza l’aiuto di ostetriche o medici, ma solo con la compagnia e l’ausilio di familiari e personale non professionista.
La Free Birth Society
A capitanare questa corrente troviamo la Free Birth Society, la comunità fondata nel 2017 da Emilee Saldaya e Yolande Norris-Clark, due ex doule, donne che offrono assistenza non medica, ma emotiva, fisica e pratica alle famiglie durante il periodo perinatale, dalla gravidanza al post-parto, aiutando le future mamme a sentirsi più sicure e informate nelle loro scelte. Hanno messo a disposizione delle gestanti una piattaforma educativa che, attraverso un podcast seguitissimo, i social, un festival, corsi al prezzo di centinaia di dollari, comunità riservate e coaching, raccogliendo consensi e trasformando le due fondatrici vere e proprie influencer. Attraverso questi strumenti diffondono il loro pensiero sul parto naturale senza ausili medici, dove al centro regna l’autoguarigione, una spiritualità New Age e la negazione della medicina.
La volontà di chi professa e crede in questo movimento è, quindi, quella di ridare alle donne quello che spetta loro, tornare a quella primitività, che le allontana dal sistema e dalle obbligazioni che esso implica, come spiega chiaramente Emilee Saldaya sul sito della comunità: “Partorire liberamente significa entrare nell’antica verità del tuo potere, del tuo amore e del tuo istinto e assumerti la responsabilità che ne consegue. Conosco la nascita come un portale sacro, intrinsecamente sovrano e profondamente spirituale. È progettato per trasformarci, offrendoci un potente varco verso la guarigione, l’incarnazione e la più completa espressione di ciò che siamo”.
La filosofia dietro il movimento
Un’ideologia che va contro l’oppressione della medicina e degli ospedali, che nasce da una sfiducia nei confronti delle Istituzioni e dello Stato, che non garantiscono la giusta “tutela” rispetto alla diffusa, per loro, violenza ostetrica alle donne in gravidanza. Si promuove il parto come empowerment femminile da vivere in autonomia, in cui l’intervento esterno non è visto di buon occhio. Il controllo ritorna alle donne e la responsabilità è solo loro, un modo per sollevarsi da qualsiasi responsabilità in caso di incidenti da parte delle guru di questa pratica.
All’interno di questo movimento emergono tre figure chiave: le ostetriche antisistema, donne che hanno studiato, ma che poi si sono allontanate dal sistema sanitario; doule autoproclamate, che non hanno nessun tipo di formazione e competenza, anche se istruiscono su come partorire; le custodi della nascita, che si formano autonomamente attraverso corsi autogestiti.
I rischi con il “parto libero”
Gli operatori sanitari denunciano i gravi rischi in cui si può incorrere quando si porta avanti una gravidanza e un parto in queste condizioni, sia per il bambino sia per la donna. Infatti, l’assistenza medica qualificata permette di avere una rete di sicurezza, che con il free birth sparisce. Non si può, infatti, dimenticare che anche le gravidanze più “sicure” sono esposte ad altissimi rischi.
Le testate internazionale come “The Guardian” e “ABC News” riportano testimonianze di persone che si sono affidate a questo processo e che hanno avuto gravi complicazioni con il parto. Come il caso di Gabrielle Lopez, una neomamma della Pennsylvania, il cui figlio Esau è rimasto bloccato durante il parto e ha riportato una lesione cerebrale causata dalla mancanza di ossigeno. Il bambino è ad oggi disabile.
Le ragioni alla base di questa scelta
Nonostante il parto naturale non sia esattamente una novità, le motivazioni che oggi sono alla base della sua diffusione come movimento, oltre al malcontento e alla mancanza di fiducia nel sistema sanitario e i servizi offerti, è dovuta in gran parte all’utilizzo dei social e alla capacità che hanno questi mezzi di comunicazione di arrivare a una platea globale. E’ molto facile imbattersi in queste pratiche e comunità che vengono spinte dall’algoritmo e che finiscono nei feed delle persone, perché affrontano argomenti che giocano con le emozioni e toccano punti delicati dell’essere donna, del diventare madre e di chi ricerca la spiritualità. Con i social le donne trovano la propria comunità e si sentono finalmente comprese e accettate nel loro credo.
Le ragioni alla base di questa volontà di partorire liberamente derivano dai traumi che moltissime donne hanno vissuto durante una prima gravidanza. Violenze fisiche, psicologiche, sessuali e di violenza ostetrica le hanno spinte a rifugiarsi in qualcosa che promette autonomia, indipendenza e libertà di scelta. Per le persone che credono nel free birth il parto si trasforma in un rito, in qualcosa di spirituale, che pone al centro e il corpo e le sensazioni e le emozioni che in ospedale si perdono.
“Le donne hanno paura, si sentono sole, la gravidanza le rende vulnerabili – ha commentato su “D- la Repubblica” l’ostetrica Alessandra Bellasio, consulente della piattaforma per la maternità UniMamma- ed ecco che ‘cadono’ nella persona che sembra loro disponibile, perché promette, accoglie e racconta con certezza granitica cosa succederà seguendo i suoi consigli”,
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