Negli ultimi anni piattaforme web come OnlyFans, dove si possono acquistare contenuti come foto, video e live streaming tramite un abbonamento, hanno registrato una crescita significativa, coinvolgendo un numero sempre maggiore di donne che scelgono di utilizzare il digitale per monetizzare la propria immagine. Nato come luogo di semplice intrattenimento ha finito, però, per dare sempre più spazio a immagini e video osé, se non pornografici nel senso più tradizionale. Ciononostante, non lo si può considerare un fenomeno che riguarda solo il mercato dell’intrattenimento per adulti, perché coinvolge aspetti sociali, economici e culturali più profondi. E’ interessante, dunque, esplorare le ragioni che spingono molte utenti a percepire questo spazio distinto dal porno tradizionale, più controllabile sul piano narrativo ed economico, e a considerarlo una forma di autonomia all’interno della complessa economia dell’intimità digitale.
Un mercato che ridefinisce il lavoro sessualizzato online
Il ricorso a questa piattaforma, sia come utente che come creator, è un fenomeno che cresce di stagione in stagione. Dietro la scelta di esporsi in questa vetrina virtuale non c’è soltanto la ricerca di un reddito aggiuntivo, che comunque rimane la spinta primaria, ma una trasformazione culturale che tocca il corpo, la visibilità e le relazioni nella società digitale.
Secondo le stime interne della piattaforma, OnlyFans ha superato gli oltre 3 milioni di creator attivi nel mondo, con ricavi che nel 2023 hanno superato i 5,5 miliardi di dollari. Le donne restano la maggioranza dei creatori: alcuni report internazionali stimano una presenza femminile superiore dell’80%. L’età media delle donne più attive oscilla tra i 20 e i 40 anni, con una presenza crescente di lavoratrici precarie, studentesse, madri single e donne che cercano una forma parallela di reddito.
La differenza più evidente rispetto al porno mainstream riguarda la struttura produttiva. Su OnlyFans non esistono attori, set, registi o industrie esterne: chi produce i contenuti gestisce direttamente visibilità, confini, stile e guadagni. Il corpo non è in mano a un’azienda, ma a chi lo rappresenta. È questa percezione di autonomia che alimenta l’idea di “intimità protetta”, distinta dal consumo pornografico tradizionale.
Dal corpo esposto al corpo negoziato
Il passaggio dal porno industriale a una piattaforma di autoproduzione non è solo tecnologico, ma antropologico. Il corpo femminile, storicamente oggetto di narrazioni esterne, viene reinterpretato come un elemento da gestire, raccontare e negoziare. “Sono una persona timida – ci spiega una sex worker della piattaforma – . Una timidezza vera, di quelle che ti fanno abbassare lo sguardo anche quando nessuno ti sta davvero guardando. Per questo la pornografia tradizionale non mi ha mai parlato: è un linguaggio che richiede un’esposizione totale, una specie di entusiasmo obbligatorio. OnlyFans, invece, è un luogo dove la timidezza può esistere. Puoi mostrare un dettaglio, una distanza, una lentezza. Puoi decidere cosa resta fuori e cosa entra. Per me è stato sorprendente scoprire che anche la riservatezza è un modo di esserci”.
La studiosa Laura María Agustín, antropologa dei processi migratori e del lavoro sessuale, ha descritto il sex work moderno come un “ecosistema fluido”, dove la scelta non può essere separata dal contesto economico e culturale. Le piattaforme digitali, in questa prospettiva, non sono semplici luoghi di scambio, ma spazi sociali in cui si ridefiniscono ruolo e capitale simbolico. “Nei siti porno – prosegue una altra creator -, devi aderire a un copione già scritto, su OnlyFans no. Lì puoi costruire il tuo ritmo la tua luce, il tuo grado di intimità. Io non lo vivo come pornografia, ma come un linguaggio che finalmente posso modulare. Non mi interessa esibire il corpo, mi interessa raccontarlo. E per una donna, che ha sempre avuto paura di essere letta dagli altri prima ancora di capirsi da sola, questa differenza è enorme: non mi mostra, mi permette di significarmi”.
Un recente filone etnografico parla di “autenticità negoziata”: non si vende solo un contenuto erotico, ma una forma di vicinanza percepita, un frammento di quotidianità costruito per un pubblico ristretto e fidelizzato. L’erotismo non è più industriale, ma relazionale: un legame a bassa soglia, ma abbastanza intenso da creare complicità, messaggi personalizzati e contatto psicologico.
Le radici sociali: precarietà, autonomia e visibilità
La crescita di OnlyFans non può essere compresa senza guardare al contesto socio-economico. Negli ultimi anni precarietà lavorativa, salari bassi, contratti intermittenti e aumento del costo della vita lo ripetiamo hanno portato molte donne a cercare nuove forme di reddito. E in questo senso la piattaforma appare come uno spazio flessibile, gestibile, immediato.
Ma OnlyFans intercetta anche un’altra dinamica meno evidente: la ricerca di visibilità. In una società dominata dalle immagini, il corpo diventa un capitale simbolico, una risorsa da amministrare, un linguaggio da modellare. L’antropologia insegna che ogni società ha i suoi luoghi rituali: ieri le piazze, oggi lo schermo. OnlyFans risponde pienamente a questo desiderio di essere viste, riconosciute, ascoltate. Non è solo erotismo: è identità.
In sintesi, OnlyFans racconta come la società contemporanea stia ridefinendo la frontiera tra privato e pubblico, tra eros e affettività, tra autonomia e mercato. Non parla solo del rapporto tra donne e digitale. Parla di noi, del nostro modo di guardare, desiderare, rappresentarci.
Intimità in vendita? Le ambivalenze del modello
La promessa di autonomia, però, convive con una serie di rischi come la perdita di controllo sui contenuti; le pressioni emotive da parte degli utenti; l’assenza di tutele giuridiche specifiche; la dipendenza economica dalla piattaforma; lo stigma sociale ancora molto forte. La distanza simbolica dal porno, cioè, non elimina la vulnerabilità. Il confine tra scelta ed esposizione è spesso sottile, soprattutto per le donne che vivono situazioni economiche difficili.



