Nel cuore dell’Atlantico del Nord esiste un luogo in cui una comunità ha scelto di dedicare la propria vita alla tutela del proprio habitat: le Isole Faroe. Qui la natura guida ogni decisione e la sostenibilità non è uno slogan, ma una pratica quotidiana, fatta di gesti concreti. Potremmo considerarle un esperimento socio-ambientale, capace di insegnarci come vivere in armonia con il mondo che ci circonda. Ogni attività umana è ampiamente improntata a ottenere il massimo risultato, sfruttando le risorse disponibili, con l’obiettivo non solo di non “rovinare” l’ambiente, ma, quando possibile, di migliorarlo.
Un esempio concreto è rappresentato, per esempio, dal settore turistico, regolato da programmi come “Closed for Maintenance” che dimostrano come i visitatori possano diventare parte attiva della conservazione dell’isola. In pratica, come si legge sul sito ufficiale Visit Faroe Islands, alcuni dei luoghi naturali più fragili qualche weekend all’anno vengono chiusi ai visitatori “normali” e aperti solo a gruppi di volontari selezionati. Durante questi fine settimana i partecipanti riparano sentieri, consolidano muri di pietra, segnalano i percorsi e contribuiscono concretamente alla manutenzione del paesaggio.
La cura dell’ambiente affidato al “volonturismo”
L’iniziativa non solo aiuta a preservare l’ambiente, ma crea un legame reale tra isolani e visitatori: chi arriva non è solo un consumatore di bellezza, ma parte attiva della sua conservazione. Questo modello limita il rischio che il turismo consumi ciò che rende speciali le Faroe e invece di permettere che tutti calpestino indisturbati i luoghi più delicati l’arcipelago sceglie di investire sul “volonturismo”, consegnando parte della cura dell’isola a chi arriva con un interesse genuino.
Entro il 2030 il 100% di elettricità da fonti rinnovabili
Anche il settore energetico è sempre più green. Nel 2022 l’arcipelago ha generato 434 GWh di elettricità di cui più della metà (circa il 52%) da fonti rinnovabili. Di questi circa 130,9 GWh provengono dall’idroelettrico, 90 GWh dal vento, una piccola parte dal biogas e residualmente dal solare. L’obiettivo delle Faroe è raggiungere il 100% di elettricità da fonti rinnovabili entro il 2030. Le turbine eoliche dominano le colline, gli impianti idroelettrici sfruttano i ruscelli che scendono dai monti e le batterie con sofisticati sistemi di accumulo aiutano a gestire le fluttuazioni. L’arcipelago, cioè, non sta solo immaginando un futuro verde, lo sta costruendo e noi possiamo solo che imparare.
I tetti “vegetali” per una migliore coibentazione
Le Faroe dimostrano che la sostenibilità non è rinuncia, ma scelta consapevole. Le pecore che pascolano sui pendii, le alghe raccolte, insomma tutto contribuisce a un’economia che valorizza ciò che si ha a disposizione. Anche le case tradizionali con tetti d’erba non sono solo pittoresche, quanto strategiche. Il manto vegetale, infatti, le rende più resistenti alle intemperie, filtra il vento e migliora l’isolamento termico.
Attenzione agli ecosistemi marini
Per questi “ecocittadini” il mare non è una risorsa infinita da sfruttare incondizionatamente e per questo la pesca, storicamente centrale, è regolamentata con rigore. Gli organismi scientifici internazionali stabiliscono limiti di cattura annuali per garantire che gli stock di pesci rimangano vivi e sani. Alcune aree marine sono protette e vengono chiuse temporaneamente a tempi alterni per permettere la rigenerazione degli habitat. Inoltre, l’acquacoltura, ad esempio del salmone, è gestita attraverso standard elevati per cercare di minimizzare gli effetti negativi sull’ambiente.
Inoltre, molti pescherecci faroesi ottengono certificazioni di pesca sostenibile, che significa più che pescare molto, pescare bene, nel rispetto dell’equilibrio.
Homo homini lupus. La ferita della caccia alle balene
Ciononostante anche questa che sembra rappresentare una delle best practice più avanzate, dove si sperimenta la sostenibilità a 360 gradi, sotto la facciata di verde e tranquillità, riserva una brutta sorpresa. L’armonia apparente si incrina davanti a una verità scomoda: anche nei paradisi utopici l’uomo non resiste alla tentazione di esercitare il proprio predominio sull’ambiente, in particolare sul regno animale.
Parliamo del grindadráp, la spietata caccia ai cetacei, tipica dii questi luoghi. Possono parteciparvi tutti: prima si avvista un branco nei pressi di una spiaggia autorizzata, poi si chiamano altre imbarcazioni per circondarlo e spingerlo a riva dove gli animali finiscono spiaggiati, uccisi e lavorati. Non è un rituale innocuo, non è folklore pittoresco, non è qualcosa da raccontare come curiosità turistica. È una pratica antica, radicata nella cultura locale, che mette a dura prova la narrazione della sostenibilità dell’isola. Qui, tra leggi locali e autonomia amministrativa, si intrecciano tradizione e contraddizione. Organizzazioni ambientaliste come Sea Shepherd documentano ogni anno la mattanza di centinaia di esemplari. Nel solo 2025 almeno 520 Pilot Whales (o Balene Pilota) sarebbero state massacrate, comprese femmine gestanti e giovani non maturi, ma mediamente si parla di 950 globicefali, tra balene pilota, balene dal naso a bottiglia e delfini dai fianchi bianchi atlantici, sterminati ogni anno.
E questo nonostante che le Long-finned pilot whale (Globicephala melas o Balena dalle pinne lunghe), la specie più comunemente coinvolta in questo rito, sia classificata come rigorosamente protetta dalla Convenzione per la Conservazione della natura e degli habitat naturali e che sia inserita in varie direttive e appendici di convenzioni internazionali come la Direttiva Habitat, la CITES e la Convenzione di Berna. Il loro stato di conservazione varia a seconda della regione e per questo per la IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) a livello globale destano “least concern” (minima preoccupazione), ma nel Mediterraneo è già classificata come “in pericolo” (endangered). Anche la caccia annuale delle Faroe contribuisce a mettere sotto pressione la loro capacità riproduttiva. Legalmente è possibile grazie alla autonomia di queste isole, che regolano la caccia con leggi locali, senza l’intervento diretto della Danimarca. I locali difendono strenuamente il grindadráp come parte integrante della cultura faroese e uno dei principali modi per assicurarsi risorse locali, ma gli animalisti rispondono che la tradizione non giustifica la distruzione di intere famiglie di cetacei, soprattutto quando molte delle vittime sono madri o cuccioli.



