sabato, 28 Giugno, 2025
Cultura

Consumatori o elettori? Quanto vale la democrazia se la politica è solo questione di marketing

In un’epoca in cui la comunicazione è diventata centrale, la politica corre il rischio di perdere la propria funzione originaria: servire l’interesse collettivo. Se l'obiettivo resta solo il consenso, a ogni costo e con ogni mezzo, allora il confine tra rappresentanza democratica e manipolazione commerciale si fa sempre più sottile. E se tutto diventa marketing a perderci è la democrazia.

In un mondo ideale marketing e politica dovrebbero restare ambiti distinti. Tuttavia, negli ultimi decenni abbiamo assistito a una loro crescente e inquietante fusione. I partiti si comportano sempre più come brand da promuovere, i programmi elettorali mirano a tenere alto l’hype e i leader politici trasformati in bravissimi influencer. Dietro le quinte, le stesse tecniche che ci convincono ad acquistare un prodotto piuttosto che un altro, vengono usate per impacchettare concetti, colmare lacune ideologiche e fidelizzare i cittadini, trattati ormai più da consumatori che da elettori.

Comunicazione persuasiva e manipolazione emotiva

L’analogia tra marketing e politica è evidente nel fine comune: influenzare le scelte attraverso strategie persuasive mirate, capaci di fare leva sulle emozioni e sugli istinti più profondi. L’impatto emotivo resta una leva potentissima.

Far leva sull’orgoglio nazionale, adottare una retorica populista, semplificare i problemi complessi, creare figure carismatiche e credibili, usare dati parziali per costruire narrazioni “oggettive”, adattare promesse al target, screditare gli avversari, ripetere incessantemente slogan e messaggi, ricorrere a simboli e colori evocativi, tutto ciò rientra in strategie condivise da pubblicità e propaganda politica.

Ed è qui che si apre il vero nodo critico: la politica dovrebbe informare, non manipolare. Il cittadino dovrebbe essere messo in condizione di scegliere consapevolmente i propri rappresentanti sulla base di fatti chiari e trasparenti, non in base a suggestioni emotive. La politica dovrebbe affrontare i problemi di petto e cercare soluzioni orientate al bene collettivo, non all’effimero successo elettorale.

Le best practice comunicative più famose

 Jacques Séguéla

Vanno, però, nettamente distinte la comunicazione strategica dal marketing puro. La prima tende a ottimizzare le modalità con cui si intende rendere il messaggio il più efficace possibile e il più rispondente possibile ai valori ai quali si vuole essere associati. Tra i guru storici della comunicazione politica troviamo Jacques Séguéla, che non a caso veniva dalla pubblicità, e che, per esempio, suggerì a Mitterrand per vincere la sfida elettorale di intervenire sui doppi canini che gli conferivano un eccessiva aggressività. E’ la prima volta che incontriamo la figura dello spin doctor accanto al candidato, che puntava a far risaltare le più forti e riconoscibili caratteristiche del proprio cliente, proprio come si devono mettere in risalto le caratteristiche di un prodotto da vendere con la pubblicità. La regola aurea adottata fu che viene eletto l’uomo che riesce a raccontare al proprio popolo il pezzo di storia che desidera raccontare in quell’istante preciso, a patto di essere un eroe credibile. Si sposta l’attenzione dal programma e dal partito alla persona, applicando i concetti pubblicitari alla campagna elettorale, come l’importanza del claim e del visual, pur con i molti distinguo che lo stesso Séguėla ha rilevato nei suoi libri e dichiarazioni.

Donald Trump: il re della narrazione polarizzante

Donald Trump

Alle elezioni del 2024 Donald Trump ha ottenuto la vittoria grazie a una comunicazione semplice, diretta e altamente efficace. Ha individuato dei “nemici” — media, istituzioni, immigrati — e si è presentato come unica soluzione per fronteggiarli, creando una narrazione binaria “noi contro loro”, rafforzando l’identità del suo elettorato.

Analizzando i comportamenti degli elettori indecisi attraverso i social network, ha personalizzato i messaggi in base a gusti, interessi e paure. Si è mostrato accessibile e informale, partecipando a talk show, podcast e dirette, conquistando anche i giovani, sempre più lontani dai media tradizionali. Inoltre, ha aumentato la propria visibilità apparendo con personaggi noti come Elon Musk, beneficiando di un’enorme esposizione mediatica a costo zero.

Silvio Berlusconi: il brand politico per eccellenza

Silvio Berlusconi

che agli inizi si rivolse proprio a Séguéla, ha rivoluzionato la comunicazione politica italiana, pur attingendo a tecniche persuasive consolidate. Si è proposto come imprenditore di successo vicino alla gente comune. Carismatico, ironico e affabile, ha costruito gran parte della sua forza comunicativa sulla propria immagine.

Grazie al controllo dei media attraverso Mediaset e al suo ruolo istituzionale ha potuto veicolare con facilità i messaggi politici. La sua presenza costante in TV ha consolidato il rapporto con il pubblico.

Le sue campagne hanno spesso fatto leva sul “popolo”, semplificando questioni complesse e avanzando promesse eclatanti anche se difficili da realizzabili. Anche nel suo caso, si è sviluppata una narrativa “noi contro voi”, con i “comunisti” nel ruolo di avversari ideologici. Il fulcro della comunicazione era Berlusconi stesso: figura controversa, ma profondamente radicata nell’immaginario collettivo.

Gianroberto Casaleggio: marketing e democrazia digitale

Cosa diversa è l’applicazione alla politica del marketing puro, che è un insieme di attività e strategie volte a creare, comunicare e consegnare valore ai clienti/candidati. In pratica, si tratta di capire i bisogni dei consumatori/elettori, sviluppare prodotti/campagne elettorali che li soddisfino e comunicare efficacemente il valore di tali proposte.

L’applicazione del marketing alla politica presenta rischi significativi, principalmente legati alla potenziale manipolazione dell’opinione pubblica e alla distorsione del processo democratico. Il marketing politico, con le sue tecniche di micro-targeting e amplificazione, può portare a una frammentazione della società e a una riduzione della partecipazione politica consapevole, concentrandosi più sull’efficacia comunicativa che sulla sostanza delle proposte politiche. Uno degli esempi più noti nel nostro Paese è la candidatura di personaggi noti al grande pubblico, come artisti, giornalisti, opinionisti, anche senza nessuna precedente esperienza di partecipazione politica, puntando tutto sulla popolarità.

Gianroberto Casaleggio

Tra le persone che in Italia vengono indicate tra i migliori utilizzatori delle logiche del marketing per le campagne elettorali è, a torto o ragione, Gianroberto Casaleggio, esperto di comunicazione politica digitale. Le sue tecniche, talvolta considerate manipolative, hanno ruotato attorno alla piattaforma Rousseau, presentata come strumento di democrazia diretta, ma, di fatto, sotto il controllo della Casaleggio Associati.

Beppe Grillo

La tanto sbandierata trasparenza è stata messa in discussione: votazioni poco verificabili, assenza di controllo indipendente e messaggi calibrati sulle emozioni del momento, in pieno stile marketing. L’informazione politica veniva diffusa esclusivamente tramite canali controllati, come il blog di Beppe Grillo e i social del Movimento 5 Stelle, eludendo il contraddittorio e il confronto con altre voci. Insomma, Casaleggio ha saputo utilizzare le dinamiche del marketing digitale mascherandole da partecipazione orizzontale, pur mantenendo un forte accentramento decisionale.

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