Viviamo in un’epoca in cui le tecnologie non si limitano più a cambiare il nostro mondo, stanno cambiando noi. Lo fanno in silenzio, un aggiornamento alla volta, una funzione “smart” alla volta, riscrivendo la geografia delle nostre capacità umane.
E questo crea un paradosso che gli studiosi di cultura digitale conoscono bene: ogni volta che la tecnologia ci offre una capacità nuova, un’abilità antica si indebolisce. È una legge non scritta dell’evoluzione tecnologica: per guadagnare dobbiamo lasciare andare qualcosa. La domanda che forse bisognerebbe porsi, soprattutto davanti all’avvento dell’Intelligenza Artificiale è se sappiamo cosa stiamo lasciando andare.
L’Atrofia Cognitiva
Uno degli esempi più lampanti è la memoria. Fino a pochi decenni fa, l’abilità di ricordare numeri di telefono, date importanti o lunghe sequenze di informazioni era una necessità quotidiana. Oggi, la delega quasi totale di questa funzione a smartphone e assistenti digitali ha portato a ciò che alcuni scienziati definiscono “amnesia digitale”. Non è un caso se lo psicologo cognitivo Daniel M. Wegner parla di “memoria transattiva“, dove il nostro cervello esternalizza le informazioni, sapendo che “Google ricorderà per noi”. La capacità di ricercare è cresciuta esponenzialmente, ma la facoltà di memorizzare si sta atrofizzando.
Similmente, l’uso massivo dei navigatori satellitari (GPS) ha potenziato la nostra capacità di spostarci in ambienti sconosciuti senza sforzo. Tuttavia, gli studi neuroscientifici suggeriscono che l’affidamento costante al GPS riduce l’attivazione dell’ippocampo, la regione cerebrale cruciale per la facoltà di orientamento spaziale e la creazione di mappe cognitive. Stiamo perdendo il “senso della direzione” innato, in cambio della certezza dell’algoritmo.
Dalla Scrittura al T9

Il dibattito si estende anche alle abilità motorie e di comunicazione. La videoscrittura e la digitazione rapida sui touchscreen hanno reso la comunicazione infinitamente più veloce (una nuova capacità), ma molti lamentano la graduale perdita della facoltà di scrivere a mano in modo leggibile e fluido (una facoltà che si perde). La scrittura a mano è un complesso esercizio che coinvolge la motricità fine e l’interconnessione tra diverse aree del cervello, la sua sostituzione con la tastiera può avere effetti sottili sullo sviluppo cognitivo, soprattutto nei bambini.
Un altro esempio è il calcolo. Le calcolatrici e i fogli di lavoro elettronici ci hanno fornito l’incredibile capacità di elaborare dati complessi e giganteschi, ma la facoltà di eseguire semplici operazioni aritmetiche a mente, una volta routine, è diventata un’abilità di nicchia.
Una umanità resa più potente, ma più sottile

Il cuore del paradosso non è nella tecnologia in sé, che resta una delle più grandi conquiste della nostra specie, ma nell’uso che ne facciamo. “Innovazione è un termine ambiguo”, ha detto in una recente intervista Padre Benanti, presidente della Commissione AI per l’Informazione della Presidenza del Consiglio, “se noi prendiamo una bomba atomica rispetto a una pistola è molto innovativa perché uccide molto di più, ma non è detto che sia meglio. Quando l’innovazione diventa sviluppo, ovvero quel tipo di innovazione che aiuta la vita, allora è quella necessaria per lo sviluppo di un Paese ed è innovazione etica. E, quindi, abbiamo davanti tanto ciò che serve al Paese quanto anche qual è il compito di un’etica, che è quella di interrogare su che forma di sviluppo vogliamo e stiamo realizzando”.
Custodire ciò che ci rende umani
Stiamo diventando più potenti e insieme più fragili. Più connessi, ma meno presenti a noi stessi. Più informati, ma meno capaci di trattenere la complessità. Forse la sfida del nostro tempo non è rallentare il progresso, né inseguirlo ciecamente, ma accompagnarlo. “60 mila anni fa – ha proseguito Padre Benanti – , quando eravamo nelle caverne e abbiamo preso per la prima volta in mano una clava quella poteva essere un utensile o un’arma. Però anche ciò che nasce come una arma, pensiamo all’energia atomica, può diventare uno strumento fantastico per l’umanità. E allora ciò che è giusto è ciò che contribuisce all’uomo e alla donna, al singolo e ai gruppi, a diventare quello che sono, e, se vogliamo, sono quei guardrail ispirati dai principi della Costituzione, che devono trasformare per l’Italia questo tipo di tecnologia, come l’Intelligenza Artificiale, in una fonte di sviluppo”.
Significa scegliere cosa vale la pena mantenere in vita e, contestualmente, accettare che alcune facoltà vadano preservate non perché “servono”, ma perché ci raccontano, ci definiscono, ci radicano. La tecnologia continuerà ad ampliare le nostre possibilità, sta a noi decidere se, nel frattempo, vogliamo continuare ad essere esseri umani, ricchi e complessi, o se preferiamo diventare qualcosa di più efficiente, ma più “sottile”. E, secondo Padre Benanti, la responsabilità ricade soprattutto su tutti coloro che hanno parte attiva nei processi che riguardano una collettività, ciascuno con ruoli diversi, da chi semplicemente si deve informare per orientare le scelte politiche, ai politici, agli innovatori, ai competenti, ai professori universitari.



