Elisa Amoruso, già autrice sensibile e attenta ai rapporti familiari complessi (Maledetta primavera, Time Is Up), ha portato in anteprima al festival del cinema di Capalbio il suo ultimo, profondissimo lavoro: “Amata”, prodotto da MeMo Films e Indiana Production con Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution, arriverà nelle sale italiane il 16 ottobre 2025.
Il film intreccia due percorsi femminili speculari, destinati a sfiorarsi senza mai coincidere. Da un lato Nunzia (Tecla Insolia), studentessa fuori sede, affronta una gravidanza indesiderata. Avrebbe voluto abortire ma arriva troppo tardi; quindi partorisce e decide di lasciare la neonata in ospedale. La legge le concede dieci giorni per ripensarci, ma la giovane, fragile e confusa, viene convinta a portare la bambina con sé, finché dopo pochi giorni la lascia in una “culla per la vita”, pronunciando parole che hanno il peso di una sentenza: «Non sono tua madre, non posso esserlo». All’estremo opposto c’è Maddalena (Miriam Leone), che da anni desidera un figlio e che affronta una serie di aborti spontanei vissuti come segnali del corpo e della natura. In un momento di crisi, mentre il percorso burocratico dell’adozione si fa faticoso e invasivo, si chiede se forse sia destinata a non essere madre, se non ci sia in quegli aborti una sorta di messaggio biologico.
Due percorsi diversi e dolorosi che si toccano idealmente. Una donna che rifiuta un figlio che non ha scelto e una donna che cerca invano un figlio che il corpo respinge. Nunzia, “colei che annuncia”, sembra portare una notizia che non vuole dare e che non riesce a trasformare in futuro; Maddalena, nome carico di redenzione e lacrime, richiama un desiderio di rinascita che passa attraverso la perdita. In questo gioco di specchi, Amoruso costruisce una riflessione potente e intima su maternità e identità, e filma questi passaggi di vita con uno sguardo che evita il melodramma e tende all’oggettività cronachistica. Così il film si chiude con una serie di note sulla legislazione riguardante la maternità e le cosiddette “culle per la vita”, che assumono tutta la loro importanza facendo eco alle storie travagliate delle due donne protagoniste, calando la loro esperienza nella realtà contemporanea e restituendola, in maniera bruciante, alla verità.

La regia mantiene quindi uno stile sobrio e partecipe, attento ai dettagli quotidiani, come una cucina spoglia, un corridoio d’ospedale, i silenzi di due donne che, seppur lontane, condividono un dolore silenzioso e profondamente femminile. Ne nasce un racconto che si rivolge a tutti e colpisce nel segno, ma che parla soprattutto alle donne, di responsabilità e libertà. La regia osserva senza moralismi di facciata, tratteggiando personaggi imperfetti ma credibili e lasciando allo spettatore lo spazio per comprendere, non per giudicare.
Dal punto di vista visivo, la fotografia calda ma non patinata accompagna i diversi mondi, dalle atmosfere caotiche della vita universitaria di Nunzia ai toni più composti e borghesi di Maddalena e Luca (Stefano Accorsi). Anche la colonna sonora discreta, mai invasiva, sostiene il flusso emotivo con dolcezzasenza imporre pathos. Si avverte un equilibrio tra intimità e universalità, che consente al film di parlare tanto a chi vive da vicino le questioni della maternità quanto a un pubblico più ampio.

In controluce, “Amata” si inserisce in una riflessione più ampia su genitorialità e diritti riproduttivi in Italia. Tocca temi attuali come l’abbandono neonatale, le procedure di adozione e il peso sociale che ancora grava sulle scelte delle donne, ma lo fa senza didascalismi. L’attenzione non è rivolta al dibattito ideologico, bensì all’umanità delle protagoniste fragili, contraddittorie, capaci di assumersi conseguenze e desideri.
La proiezione a Capalbio ha confermato la vitalità di un festival che, accanto al cinema d’autore internazionale, offre spazio a storie radicate nel presente italiano, attente a nuove voci registiche e a tematiche civili. L’incontro con il pubblico ha evidenziato la disponibilità di Amoruso a discutere senza barriere di un tema delicato, trasformando la cronaca in narrazione emotiva.
Con “Amata”, Elisa Amoruso conferma una cifra narrativa riconoscibile, cinema intimista ma non autoreferenziale, capace di parlare a un pubblico vasto pur restando fedele a un realismo affettivo e privo di semplificazioni. È un film che interroga più che spiegare, e proprio per questo lascia dietro di sé un pensiero vivo, che continua dopo i titoli di coda.