Labubu è il nome che identifica una lunga serie di pupazzetti a forma di elfo e rinchiusi in un corpo di coniglio, creati nel 2015 dall’artista naturalizzato olandese Kasing Lung e inizialmente pensati solo per la serie di racconti illustrati “The Monsters”, ispirati al folklore nordico. Nel 2016, quando l’artista cinese ha iniziato a collaborare con Pop Mart, i Labubu sono stati presi e trasformati in dei portachiavi: una mossa semplice, ma che ha cambiato la fanbase di Lung e ampliato il mercato di questi oggettini su scala globale. In pochi anni il trend è esploso, supportato anche da celebrità e popstar, favorendo una corsa pazza all’acquisto di un prodotto che è sempre limited edition e capace di provocare risse e rischi per la sicurezza pubblica fuori dai rivenditori fisici situati nelle grandi città. E come se non bastasse, nel mese di giugno 2025 il CEO di Pop Mart Wang Ning ha guadagnato 1,6 miliardi di dollari con l’app ufficiale di Labubu, che è stata la più scaricata negli USA e l’ha reso subito uno degli uomini più ricchi della Cina. Quello che sembrerebbe un prodotto innocuo si è dunque trasformato in uno strumento di soft power del regime di Xi Jinping.
La strategia economica
Alla base del successo di Labubu c’è sicuramente una strategia economica esemplare: venduti in blind boxes (scatole chiuse dove non sai quale modello si cela), stimolano i consumatori a cercarne sempre di più, a completare una collezione infinita che non vede doppioni. Infatti, una volta finiti i pezzi disponibili, non vengono ristampati, ma si dà il via a esemplari nuovi e con sempre più accessori per personalizzarli. Se il prezzo di acquisto iniziale è accessibile, una volta esauriti possono essere trovati sulle app di reselling a costi esorbitanti, che sfiorano anche i 4.000 euro. Insomma, i drop limitati e l’assenza totale di restock creano desiderabilità. E il fatto di potersi permettere un piccolo accessorio potenzialmente di lusso in un periodo storico così difficile è un incentivo per chi attorno non vede altro che disperazione e miseria. Così un pupazzetto diventa un investimento a lungo termine, facendo schizzare le azioni di Pop Mart ed esportando in maniera esplicita la cultura di uno stato autoritario in Occidente.
Labubu è soft power
Tralasciando poi la questione ambientale inerente all’uso del PVC, una plastica molto tossica usata per fabbricare questi oggetti, in un meccanismo basato sul consumo compulsivo e sulla cultura del collezionismo come esca, Labubu fa molto di più che essere un semplice e adorabile pupazzo. Come rivelato dal New York Times, Pop Mart è stato in grado non solo di superare il valore di mercato di colossi come Mattel (Barbie) e Sanrio (Hello Kitty), ma di dare alla Cina l’opportunità di esportare la propria immagine culturale e filosofica in Occidente con estrema facilità, consentendole di ripulirsi e di essere più desiderabile degli Stati Uniti stessi. Nell’attuale guerra dei dazi, la Cina ha costruito un’altra modalità innocua e apprezzata anche in patria per porsi come “un’alternativa agli Stati Uniti per la leadership globale” continua la testata di New York, affermando poi che persino “molti cinesi ora si rivolgono a marchi e star locali invece che a quelli occidentali che un tempo idolatravano”. Attenzione, dunque, dietro un oggetto di successo si potrebbe nascondere qualcosa di più.