venerdì, 19 Aprile, 2024
Il Cittadino

Renzi e l’illusione lamalfiana

Mi piaceva moltissimo il sistema elettorale proporzionale.

Lo ritenevo molto adatto alla cultura italiana ed alle differenti ideologie del pensiero nostrano che contemplavano, tra il bianco e il nero (la scelta con cui sintetizzavo il “rozzo” sistema maggioritario americano) una infinità di sfumature di grigio:

Sfumature che trovavano tutte rappresentanza nella nostra generosa democrazia.

Così, con grande orgoglio, esibivo già da liceale la mia ideologia mazziniana, guardando dall’alto di uno stentato due per cento repubblicano i dominanti “compagni” della sinistra.

Sapevo di un intento comune con loro, storicamente e pragmaticamente espresso nel 1864 dalla Prima Internazionale dei Lavoratori, fondata da socialisti, anarchici e repubblicani (pensieri riferibili a Karl Marx, Michail Bakunin e Giuseppe Mazzini) nel sogno condiviso di una emancipazione sociale che, agli albori dell’industrializzazione, concordavano dovesse riguardare la classe proletaria.

Ma, francamente – ed in prospettiva storica non avevo torto, stante le vicende del così detto “socialismo reale” – mi sembrava molto più moderna e concreta l’idea mazziniana dell’unione tra capitale e lavoro in un contesto autenticamente democratico; e più funzionali le sue società operaie di mutuo soccorso.

(Per inciso la Democrazia Cristiana in quei tempi – fine anni ‘60, primi anni ‘70 – specialmente nei dibattiti tra noi giovanissimi, come se culturalmente non esistesse: salvo il fatto che prendeva sempre più voti di tutti).

Né, sotto questo profilo, mi creava problemi il mio essere cattolico in un partito dichiaratamente laico fin quasi all’anticlericalismo, ritenuto che al mazzinianesimo mi aveva avvicinato un illuminato gesuita nei miei anni del gesuitico collegio “Pennisi” di Acireale: esperienza che mi fa avere una comprensione particolare del primo Papa gesuita, Francesco: che non è francescano.

Insomma, anche e soprattutto per la personalità, storia e capacità politica di Ugo La Malfa guardavo a tutti senza complessi, fiero di appartenere ad una piccola élite, numericamente debole, ma potente per la forza delle idee (pensate come sia cambiato il sentire comune: oggi essere élite sembra quasi un reato!).

Fino a divenire addirittura superbo con la Presidenza Spadolini – il primo Presidente del Consiglio non democristiano -, col suo quasi sei per cento e con la suggestione ed illusione data dalla “Convention” del 1992 nel mitico Studio 5 di Cinecittà, con tanto di “benedizione” felliniana a Giorgio La Malfa: prima che “mani pulite” segnasse la fine della Prima Repubblica e sancisse l’inutilità dei referendum segniani del 1991 e del 1993.

Nel mio confuso background cultural-politico – che, ancora più confusamente ho cercato di descrivervi – aveva acceso una scintilla la sortita di Matteo Renzi all’interno di una maggioranza che dichiaratamente non apprezzo nelle sue componenti populiste e della sinistra non liberale.

Mi era quasi sembrato di rivivere quei momenti in cui Ugo La Malfa svolgeva all’interno delle coalizioni di governo una funzione critica – alcuni dicevano quasi di opposizione – riuscendo a determinare le linee guida della politica economica.

Si era però in un tempo in cui le ideologie imponevano dei limiti di decenza, che neppure partiti ispirati nella politica reale al pragmatismo, come il PRI, osavano valicare. Mai sarebbe potuto accadere allora che la stessa persona guidasse una coalizione con la destra più radicale – fino a condividere posizioni estreme nei confronti degli emigranti – e, subito dopo, presiedere un raggruppamento di segno dichiaratamente opposto.

Così che il peccato originale di Renzi – per quanto non direttamente compiuto, essendo al momento dell’adesione alla coalizione parte del PD – non si può mitigare oggi con un contrasto interno alla maggioranza che la gente stenta a capire, che non è stato comunicato con chiarezza e che si sta, “responsabilmente”, risolvendo in un assestamento di poteri e posizioni, nel segno di una necessità di continuità governativa che, francamente lascia perplessi di fronte ai risultati ottenuti, anche sul fronte del contenimento dell’epidemia.

Ugo La Malfa, ne sono certo, non si sarebbe fatto condizionare da ciò ed avrebbe tenuto la posizione: mentre nel vacillare odierno della posizione di Italia Viva che quella crisi ha aperto, c’è una conferma di peccaminosi cattivi pensieri e una mancata risposta agli interrogativi che molti elettori si sono posti.

Usciremo mai dalla profezia di Tomasi di Lampedusa – prepotentemente nella mia mente associandolo alla sicilianità di Ugo La Malfa – che quando i gattopardi ed i leoni lasciano campo libero arrivano solo sciacalletti e iene?

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