sabato, 20 Aprile, 2024
Manica Larga

Le città visibili: se popolo ed élite politiche tornano a ridisegnare insieme il Paese

Liverpool. Esterno giorno. Scene di ordinario lockdown. Sul web qualcosa si muove. Nella città dei Beatles, il sindaco lavora con i suoi cittadini nell’ambito di un programma di crowdfunding civico per ricostruire una comunità più vivace, resiliente e connessa attraverso progetti semplici, ma complessi allo stesso tempo. Nove in tutto, tra cui una cucina comunitaria, una radio, la conversione di un furgone in uno spettacolo itinerante per gli studenti della regione e progetti per combattere l’ansia sociale.

Altro porto, altra città. Altre reti, altri pescatori. Venezia. Qui il Comune ha presentato un progetto di crowdfunding civico, realizzato in collaborazione con la piattaforma Produzioni dal Basso e la Fondazione Fenice Onlus, nell’ambito del programma “Città SIcura di sé”, con l’obiettivo di rinnovare il welfare cittadino e realizzare una città più inclusiva e partecipata a partire dalle aree più vulnerabili.

Insomma, prove di dialogo tra politica e resto del mondo. Qualcuno ha criticato, come giusto che sia. Prendi il Guardian, per esempio, che in occasione di un programma similare lanciato dal sindaco di Londra Sadiq Khan qualche tempo fa, bollò questo tipo di iniziative come “privatizzazione mascherata da democrazia”. 

Per altri, invece, il punto è diverso. Per esempio, secondo una ricerca del Carnegie Endowement for International Peace, un think tank globale specializzato in temi di politica estera, il coronavirus sta indubbiamente catalizzando una nuova collaborazione civica, unendo alto e basso, élite politiche e popolo. 

Tuttavia, sottolineano gli analisti, per cogliere efficacemente questa opportunità, “la società civile deve superare le divisioni di vecchia data tra le élite e gli attori di base”. Infatti, “se la frammentazione permane, le soluzioni politiche guidate dalle élite rimarranno scollegate dallo slancio pubblico guidato dal basso”. Perciò serve una visione d’insieme e uno sforzo collettivo perché “entrambi gli elementi sono necessari per massimizzare l’apertura della pandemia alla riforma”. 

Noi, più modestamente, speriamo che scatti la scintilla. Per dirla in altri termini, partiamo da un’osservazione: se c’è una cosa che sembra aver accomunato la politica mondiale in questa pandemia è stata la difficoltà a far rispettare il distanziamento sociale. Che sia stata mancanza di enforcement, confusione nella comunicazione, in alcuni casi scelta deliberata (e scellerata) o il fatto che noi tutti siamo esseri a volte disperatamente sociali, è parso emergere tra le pieghe del racconto un paradosso: quello per cui il popolo ha smesso di ascoltare le élite politiche e la sua richiesta di tenere le distanze forse proprio per un eccesso di distanza da queste ultime. 

Un solco che si è andato allargando in modo irrimediabile nel corso di decenni, qualcuno ipotizza dalla caduta del Muro di Berlino in poi a causa delle promesse disattese della globalizzazione, vedi il Premio Nobel Stiglitz, via via fino all’esplosione di risentimento, populismi e nazionalismi, vedi l’economista britannico Paul Collier che ha definito quella in cui viviamo una “società Rottweiler”. 

Va quindi ricomposto un tessuto slabbrato, va innovata la società e rinnovato il sentire di un destino comune. Servono progetti attorno ai quali aggregarsi con spirito unitario. Perché, come Covid insegna, siamo sulla stessa barca, anche se in classi differenti. Ma questo è un altro discorso.

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