martedì, 16 Aprile, 2024
Sotto una buona stella

L’export che verrà

In questa estate piena di domande, in attesa di sapere se e come prenderemo i fondi MES, che accordo riusciremo a chiudere in Europa per il Recovery Fund, almeno una piccola certezza si fa strada: l’Italia ha bisogno di recuperare capitali anche dai Paesi extra UE rilanciando l’export.

È dello scorso 8 giugno la firma sul Patto per l’Export, l’intesa che il MAECI ha voluto, in condivisione con altri 7 ministeri, Cassa Depositi e Prestiti, SACE, SIMEST e circa 147 associazioni rappresentative di tutti i settori produttivi.

Il Patto è un accordo per delineare una strategia per il rilancio dell’export del Made in Italy attraverso l’implementazione del sostegno all’internazionalizzazione e un’azione promozionale che ha intento di ampia diffusione. Alla realizzazione del patto sono stati destinati, per ora e al netto dei fondi che riceveremo dall’UE, 1 miliardo e 400 milioni per sei linee di interventi differenti che verranno gestiti dal MAECI in collaborazione con ICE e il gruppo CDP-SACE-SIMEST. La Farnesina intende avvalersi della sua rete diplomatico consolare per fornire supporto all’estero alle aziende e stakeholders interessati che vorranno entrare nel progetto; si tratta di una rete di 300 sedi estere tra Ambasciate, Rappresentanze Permanenti, Uffici consolari e Istituti Italiani di cultura.

Se il patto, di per sé, ha validi intenti, sarà necessario capire come transitarlo da una dimensione teoretica ad una operativa: da oltre un mese i rappresentanti di interesse delle varie categorie coinvolte, sollecitano la costituzione di tavoli preposti a dare attuazione alle linee generali, attraverso l’ideazione di bandi che abbiano una cornice condivisa con le aziende, per evitare di rischiare che risultino poi poco efficaci.

La comunicazione e promozione giocano un ruolo chiave ma il patto ha nelle sue finalità quella di rivolgere entrambe solo verso l’estero e qui sembrerebbe manifestare una sua fragilità: il tessuto delle PMI o non ne conosce ancora l’esistenza o lo percepisce come una sorta di “grande cappello” utile solo alle grandi aziende e alle associazioni di categoria che svolgono rappresentanza d’interessi. Insomma appare un’entità distante dal reale tessuto produttivo italiano e se è così, come potranno le eccellenze made in Italy, spesso costituite da piccole e piccolissime imprese, comprenderne il valore e l’opportunità?

Occorre valutare, ora che si è ancora in tempo, di rivolgere parte del piano di comunicazione anche all’interno del Paese.

La scansione temporale di attuazione del piano è un altro fattore determinante: complice l’estate, il bisogno di evasione dopo mesi di lockdown emotivamente provanti e i piani ferie, i tavoli operativi stentano a partire e c’è il rischio concreto di ritrovarsi a settembre senza avere ancora linee operative pronte e di immediata attuazione. Settembre è una deadline pericolosa a causa delle elezioni regionali che aspettano l’Italia e che, inevitabilmente, tenderanno a distogliere porzioni di attenzionalità, poi ci sarà la preparazione della bozza della legge di bilancio, insomma a settembre è bene arrivare con i “compiti” già fatti piuttosto che ridursi ad una corsa disordinata a causa dei troppi fronti su cui bisognerà essere attivi. Su questo le associazioni di rappresentanza, stanno facendo già da settimane pressing perché si parta quanto prima; tra queste Unione Italiana Vini che rappresenta più di 150.000 viticoltori, ha sollecitato MIPAAF e MAECI a dar vita ad un new deal della promozione che ascolti le voci dei produttori per allocare al meglio le risorse economiche. Ad oggi solo SIMEST ha avviato la linea di sua competenza, aumentando i massimali sulle cifre finanziabili e combinandole con tassi agevolati e fondo perduto fino al 50% (da settembre).

Insomma questa estate, forse dovremo guardare meno all’ombrellone e più a cercare di far ricominciare a correre il lavoro, in attesa di ciò che verrà dall’export.

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