mercoledì, 24 Aprile, 2024
Il Cittadino

Salvo intese

I due Governi Conte hanno innalzato a prassi un debole precedente: quello della approvazione di una decisione dell’esecutivo «salvo intese».

Il precedente è del 23 marzo 2012, allorché il Governo Monti approvava «salvo intese» il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro.

Approvare «salvo intese» significa non avere deciso, non avere raggiunto una soluzione condivisa, ma riservarsi modifiche e ripensamenti.

Sotto il profilo tecnico una deliberazione di tal fatta non sarebbe adottabile da nessun organo collegiale di una qualsiasi società, ma neppure da un’assemblea di condominio. Se portato davanti ad un giudice sarebbe annullato. Ma addirittura la sua esecuzione sarebbe impossibile: «la Giunta del Comune di Vattelappesca ha deliberato l’acquisto di un nuovo camion per la spazzatura. Salvo intese». Nessuno si accollerebbe la responsabilità di comprare quel camion e quel «salvo intese» farebbe credere ai malpensanti – tra di loro sicuramente qualche giudice – ad accordi sottobanco col venditore. 

Per fortuna tali cattivi pensieri non si possono estendere ai due Governi Conte dove c’è una forte presenza di componenti onesti per statuto.

Questa prassi del «salvo intese» si accompagna anche ad un altro escamotage studiato per limitare al massimo a due-tre soggetti nell’ambito del Governo stesso il potere decisionale. L’escamotage forse risale al primo Governo Conte dove era più evidente che le decisioni passavano per le intese tra i leader politici, dotati di potere assoluto tipo leninista, dei due raggruppamenti di coalizione. Con il compito del Presidente Conte di approvare comunque (“siamo il Governo del fare”), ma «salvo intese», per l’appunto, i desiderata di uno dei due che non erano condivisi dall’altro.

Così il Governo si riuniva e si riunisce molto spesso con all’ordine del giorno solamente le «varie ed eventuali», che significano solamente potere e mancanza di trasparenza, aspettando che i leader di turno ne dettino l’agenda.

Ma il capolavoro governativo – non potendosi qui limitare al fatidico «salvo intese» – è stato compiuto dal Primo Governo Conte sulla famigerata, vessatoria e barbara introduzione dell’ergastolo processuale voluto dal Ministro Bonafede e condiviso, tra quelli che si occupano di giustizia, solamente da qualche raro magistrato evidente abbagliato da una personale idea del proprio potere.

Sul punto vi segnalo, anche per la sua forza di sintesi e completezza, l’editoriale di Giuseppe Mazzei, del 7 febbraio, su queste colonne: “Prescrizione: questioni di metodo”.

Il Governo ha, quindi, approvato una legge con l’evidente disprezzo della Lega, “sospendendone” la sua entrata in vigore. Non è un esempio solitario, perché anche la nuova legge fallimentare entrerà in vigore dopo due anni dalla sua approvazione. Ma in quest’ultimo caso c’è, almeno, un’esigenza organizzativa (dei Tribunali, delle Camere di commercio, dei professionisti che si trasformano da curatori a liquidatori).

Nel caso della prescrizione invece della formula «salvo intese», sussisteva la riserva mentale del “ti ho fregato”: prima che entri in vigore, faccio cadere il governo e buonanotte alla buona fede.

Sennonché ad un raggruppamento se ne è sostituito un altro, pratica gattopardesca del tutto cambi perché tutto rimanga come prima.

E oggi, con un ennesimo ribaltamento strategico dei ruoli simile a quello verificatosi nella Giunta delle Autorizzazioni, chi aveva votato a favore dell’introduzione dell’ergastolo processuale è contro e, viceversa (con qualche distinguo bizantino).

I diritti dei cittadini, la presunzione di innocenza (anche se da qualcuno, in barba alla Costituzione ed al Diritto, si dice che non esistono innocenti, ma colpevoli non ancora scoperti) passano in sottofondo rispetto alle intese strategiche e alle finalità di bassa politica se non addirittura di sottogoverno, barattando Diritti dei cittadini con qualche effimero vantaggio.

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